Il dibattito sui PIWI (dal tedesco PilzWiderstandsfahige Varietà di uva resistenti ai funghi) risale al secolo scorso, sia in Italia che in Europa, focalizzandosi sulle differenze di qualità del vino rispetto ai prodotti enologici ottenuti da vitis vinifera.
Negli anni ’70, in Germania, l’orientamento green del governo ha fatto superare le remore, dando, così, impulso alla sperimentazione, coltivazione e vinificazione di queste varietà. Anche in Ungheria e più in generale nell’Est dell’Europa, il loro utilizzo si è diffuso rapidamente, grazie in questo caso all’assenza di particolari limiti sia normativi che culturali. In Francia, infine, in epoca più recente, si è per favorirne la diffusione, si è creata una rete democratica di sperimentazione sul territorio: ogni regione produttrice di AOC può produrre 2 o 3 varietà resistenti. In Italia, c’è ancora poca convinzione e qualche resistenza ad offrire loro un periodo di osservazione sperimentale.
Stando ai dati scientifici esteri e del network italiano di cui fanno parte la comunità universitaria (Milano, Bologna e Udine), quella di ricerca e applicazione agritech (FEM e CREAVIT) e quella privata (Rauscedo), questi ibridi resistenti possono essere una buona risposta alle nuove sfide internazionali, quali i problemi causati dai cambiamenti climatici alla coltivazione della vite, le principali malattie fungine e le richieste ambientaliste di riduzione dei trattamenti chimici in vigneto.
Si definiscono con l’acronimo PIWI le varietà di viti resistenti ai funghi che si ottengono da ripetuti reincroci fra vitis vinifera ed altre varietà di viti con geni di resistenza alle malattie fungine (peronospera e oidio, mentre verso botrite e marciume acido dimostrano una ridotta sensibilità).
Non sono però immuni, in quanto la resistenza non è automatica ma si sviluppa come risposta di difesa della pianta dallo stimolo indotto dall’agente patogeno ed il livello di tolleranza cambia secondo la varietà di PIWI. Non sono OGM, poiché gli incroci si ottengono attraverso processi naturali come impollinazione e selezione dei semi delle piante. La percentuale di viti resistenti presente nel reincrocio non supera il 5% ed il restante 95% è vitis vinifera.
Grazie a queste caratteristiche nella loro coltivazione richiedono pochissimi interventi, risultando particolarmente indicati ai fini di un regime sostenibile o biologico. Sono 550 le aziende che nel mondo si dedicano attivamente alla coltivazione, produzione e commercializzazione di vini PIWI (fonte PIWI international)
Con il Regolamento Ue n. 2117 del 21 dicembre 2021, potrebbero cambiare un po’ di cose rispetto allo status quo in essere in materia di vini DOP e IGT. L’art. 90 bis al comma 6 lett. a) punto 20 v) consente, infatti, ai produttori di utilizzare varietà di viti ottenute da un incrocio tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis anche per produrre vini DOP e non più solo per produrre vini IGT.
La modifica, fortemente voluta dalla Francia e dalla Germania, trova ragion d’essere nella necessità di coniugare gli obbiettivi europei dell’Agenda 2030 con produzioni che si adattino meglio ai cambiamenti delle condizioni climatiche e che abbiano una maggiore resistenza alle malattie.
Il nostro Paese, contrario alla nuova normativa, dovrà ora scegliere se modificare in tale direzione il T.U. della vite e del vino (che all’ art.33 vieta espressamente l’uso di PIWI nei vini DOP), ovvero, prendere tempo e attivare un processo dal basso, coinvolgendo produttori e consorzi di tutela nella fase di sperimentazione. Attualmente, le Regioni italiane, competenti ad aggiornare gli elenchi ufficiali delle varietà autorizzate per la produzione dei vini a denominazione di origine e ad indicazione geografica tutelata, che si stanno muovendo per incentivare la sperimentazione, sono poche.
Risulta interessante, leggere il documento pubblicato alla fine del 2020 dall’Accademia dei Georgofili. Il papier è stato stilato con il supporto di un comitato di esperti di chiara fama e lunga esperienza. In esso, vengono evidenziati tre temi cruciali: la nomenclatura per questi vitigni, la loro attitudine alla tipicità e la loro commerciabilità.
Quale nome dare al nuovo vitigno
Come già detto, questi vitigni sono il frutto di reiterati reincroci fra vitis vinifera e varietà resistenti. Essendo un processo di miglioramento genetico, le varietà di vitis vinifera utilizzate sono quelle internazionali di miglior pregio e universale conoscenza.
Essendo la percentuale di vitis vinifera predominante nel DNA del nuovo vitigno, secondo logica, sembra meglio e più corretto includerlo nel nome ufficiale della varietà, ma questa è una valutazione che richiede, oltre a considerazioni agronomiche ed enologiche, anche un approccio comunicativo corretto.
Confondere il consumatore è un rischio (a volte calcolato) peraltro vietato anche dall’OIV. Un nome completamente nuovo, invece, non si espone a contestazioni, ma richiede un gran lavoro di promozione (non solo da parte del singolo produttore). Secondo il comitato di esperti, vanno bilanciati i pro e i contro considerando la realtà agronomica e genetica della vite e dichiarandola in etichetta. La trasparenza premia sempre.
Tipicità dei vini
È un nodo cruciale. Occorrono anni di sperimentazione per tracciare la strada migliore per gestirne la coltivazione e guidarne la vinificazione. Sicuramente, sotto il profilo della sostenibilità (ambientale, economica e sociale) i PIWI hanno molte frecce nel loro arco.
Sotto il profilo sensoriale, invece, sembra giusto aprire un costruttivo dibattito. Prevale un netto discostamento nel caso di varietà con forti caratteri distintivi (Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir), si possono considerare neutri per altri. Il lavoro, secondo il documento, sarà lungo e richiederà sforzi congiunti da parte di produttori, agronomi, enologi e istituzioni.
L’obbiettivo potrebbe essere sposare una nuova mappatura sensoriale per i prodotti tutelati inclusivi di queste varietà, considerando che grazie alle loro caratteristiche di tolleranza ai patogeni e al quasi inesistente ricorso a mezzi tecnici in vigneto, favoriscono la conservazione dell’agrobiodiversità e del paesaggio di un territorio.
Commerciabilità
Il tema è come dare risposte alle aspettative dei consumatori del domani. Perché i trend cambiano rapidamente ed il consumatore che è poco addentro al sistema di produzione è molto influenzabile dalle mode e dalle tendenze. Anche il più interessato winelover.
Il vino, d’altronde, è un bene edonistico e voluttuario. Occorre, secondo il documento, costruire un legame fra questi vitigni ed il territorio che affianchi quello tradizionale delle varietà di vitis vinifera ed un programma di promozione e comunicazione che tocchi temi importanti come la salubrità di questi prodotti, la loro gamma sensoriale e la loro attitudine sostenibile.