Senza Bioetica non può esserci vero progresso nella ricerca scientifica

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I comitati Etici devono confermare il valore e la robustezza della metodologia di una sperimentazione per tutelare il primato della persona. Intervista a Carlo Petrini.

Con la pubblicazione lo scorso 7 febbraio sulla gazzetta ufficiale n. 31, dei quattro decreti del Ministero della Salute sulle sperimentazioni cliniche su farmaci e indagini cliniche su dispositivi medici ad uso umano, sembra essersi chiuso il cerchio, recependo e rendendo operativa la normativa Europea prodotta in materia negli ultimi 10 anni. Tema centrale, e nodale, sono i Comitati Etici, gli organismi indipendenti che hanno la responsabilità di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela. Nello specifico: il decreto del 27 gennaio 2023 disciplina la fase transitoria fino alla completa attuazione del Regolamento dell’Unione Europea n. 536/2014, in relazione alle attività di valutazione e alle modalità di interazione tra i Comitati Etici Territoriali (CET), il Centro di Coordinamento Nazionale dei Comitati Etici e l’AIFA.; il primo decreto del 30 gennaio 2023, disciplina il funzionamento e la loro composizione dei CET, i  requisiti  e la suddivisione di competenze fra CET, Comitati Etici Nazionali e Centro di Coordinamento Nazionale;  il secondo decreto del 30 gennaio 2023  determina una tariffa unica per le sperimentazioni cliniche per i  gettoni di presenza alle riunioni per tutti i Comitati Etici.

Particolarmente importante è il decreto del 26 gennaio 2023, che individua i 40 CET che avranno il compito di effettuare le valutazioni di competenza sulle sperimentazioni ex Regolamento UE n. 536/2014 e ex Regolamento UE n. 2017/745. Sembrano permanere, però, delle zone d’ombra sulla ripartizione delle competenze esclusive o concorrenti fra i soggetti deputati a valutare il decorso di uno studio clinico, ma anche qualche interrogativo sul contemperamento fra necessità della ricerca scientifica e contesto in cui avviene la sperimentazione stessa. Per approfondire la portata delle novità ed il loro impatto sul sistema pregresso, ho rivolto alcune domande al Direttore dell’Unità di Bioetica dell’Istituto Superiore della Sanità, Carlo Petrini, Presidente del Centro Coordinamento Nazionale Comitati Etici.

D: Presidente Petrini, innanzitutto, le chiederei una definizione di bioetica e di cosa significa valutare l’eticità di una sperimentazione

R: È una disciplina che per essere compresa richiede la conoscenza della sua origine storica, sociale e scientifica.
La prima definizione di Bioetica risale al 1927, grazie alla attività di un filosofo tedesco, Fritz Jahr, che fece riferimento a un “imperativo Bioetico”, vale a dire all’atteggiamento di rispetto verso l’ambiente da parte dell’uomo. Le più vicine a quella odierna restano comunque le definizioni coniate nel corso degli anni ‘70, prima dall’oncologo statunitense Potter e successivamente da Warren Reich, che ha curato la pubblicazione dell’Enciclopedia di Bioetica nel 1978.  Potter, in un famoso articolo a cui è seguito un libro, definisce la bioetica “una scienza che consente all’uomo di sopravvivere utilizzando i suoi valori morali difronte all’evolversi dell’ecosistema e dell’ambiente che lo circonda”.

Reich, va oltre, intendendola quale “studio sistematico delle dimensioni morali, inclusa la visione morale, la condotta e le politiche, delle scienze della vita e della salute, utilizzando varie metodologie etiche e con un’impostazione interdisciplinare”.  Sono anni di grande fermento e attenzione politico-sociale. Negli Stati Uniti a seguito delle numerose violazioni dei diritti umani nelle sperimentazioni cliniche dei decenni precedenti, l’allora Presidente degli USA commissionò un’indagine che portò al rapporto Belmont, mentre gli studiosi Beauchamp e Childress nel loro manuale “Principles of Biomedical Ethics” stilarono i quattro cardini del concetto di bioetica: principio di autonomia, di beneficialità, di non maleficenza e di giustizia. L’autonomia ha la sua espressione nel consenso informato, la beneficialità riguarda il beneficio della ricerca scientifica per chi vi partecipa, la non maleficenza è l’attenzione ed il rispetto verso il paziente, proteggendolo da indebiti rischi, la giustizia riguarda i diritti dei partecipanti e l’equità fra loro. Quando parliamo di eticità della sperimentazione facciamo riferimento ad una serie di documenti molti dei quali non normativi che definiscono le best practices che devono essere osservate negli studi e sperimentazioni cliniche sull’uomo. Fra queste si annoverano, per esempio, il Codice di Norimberga, la dichiarazione di Helsinki della World Medical Association, adottata nel 1964 e più volte emendata (l’ultima volta nel 2013 adottata a Fortaleza in Brasile), attualmente in revisione.

La sintesi di queste soft laws può essere enunciata in 7 principi: il valore, la validità, l’equa selezione dei soggetti, il rapporto fra benefici e rischi, la revisione indipendente, il rispetto per le persone e il consenso informato. Fra questi un’attenzione particolare meritano valore e validità. Il primo chiede che presupposto della sperimentazione sia l’utilità della ricerca, mentre la validità riguarda la robustezza della metodologia applicata per arrivare al risultato sperato. In ogni caso, il primato della persona rispetto all’avanzamento della scienza deve essere il faro che guida medici e scienziati nella loro attività. Ritengo, per concludere, doverosa un’attenzione sul tema dei dati. Siamo alla costante ricerca di dati ed informazioni come fossero petrolio, preoccupandoci più della loro quantità che della loro qualità. Per utilizzare grandi quantità di dati ci vuole grande tecnologia e grande rigore. Bisogna tutelarne l’utilità e la riservatezza senza però esasperare in una direzione o nell’altra. Il Regolamento Europeo n. 2016/679 parla infatti di protezione delle persone fisiche riguardo la tutela dei dati personali ma anche di libera circolazione degli stessi. Il primo aspetto è presente in tutta la normativa italiana, il secondo fa fatica ad emergere.

I dati sono un bene prezioso che deve essere condiviso per aumentare l’utilità e la fruibilità della ricerca scientifica, con il limite del divieto di trarne profitto economico.

D: Nel Regolamento UE n. 536/2014 le competenze dei Comitati Etici in tema di revisione di uno studio clinico sembrano certe per gli aspetti compresi nella parte II della relazione di valutazione, eventuali per la parte I, quasi ci fosse una scissione fra valutazione scientifica ed etica. Lei cosa ne pensa? Ritiene che in Europa possano esistere livelli diversi di trattamento dei soggetti che partecipano ad uno studio clinico a seconda dello Stato in cui questo studio viene condotto ed ai criteri di valutazione che vengono applicati dall’Autorità Competente sulla parte I del protocollo? Come gestire i casi di discordanza sulla parte I del protocollo di valutazione di uno studio clinico fra Autorità Competente e Comitato Etico? 

R: Penso che ci siano ancora molti nodi da sciogliere. Certamente con la pubblicazione dei 4 decreti Ministeriali in Gazzetta Ufficiale lo scorso 7 febbraio abbiamo i principali strumenti operativi per dare applicazione al Regolamento Europeo applicato dal 31 gennaio 2022. Siamo anche arrivati al primo giro di boa con la fine dell’anno di transizione che consentiva di applicare il sistema della direttiva n. 2001/20 alle sperimentazioni iniziate entro il 2023. Ora dallo scorso 31 gennaio 2023 si può solo seguire la nuova disciplina, e entro il 31 gennaio 2025 tutte le sperimentazioni ancora in corso dovranno comunque transitare nella nuova disciplina.

I Comitati Etici, con il decreto Ministeriale del 26 gennaio scorso, hanno competenza esclusiva sulle sperimentazioni cliniche su medicinali (e sulle indagini cliniche su dispositivi medici) relativamente alla parte II prevista dal Regolamento UE, mentre possono esprimersi congiuntamente con l’Autorità nazionale competente sulla parte I dello stesso. La richiesta di autorizzazione per una nuova sperimentazione è, quindi, divisa in 2 parti.

La prima spetta per legge all’autorità nazionale competente, la seconda al comitato etico. Quest’ultimo valuterà 8 elementi: il consenso informato, la retribuzione e l’indennizzo dei partecipanti, l’inclusione dei partecipanti, il trattamento dei dati, l’idoneità degli sperimentatori e dei siti di sperimentazione, il risarcimento dei danni e il rispetto delle norme in materia di raccolta conservazione ed utilizzo di materiale biologico. L’Autorità Nazionale, invece, deve valutare 5 elementi: i benefici terapeutici e per la salute pubblica, i rischi per i partecipanti, la conformità in materia di fabbricazione ed importazione dei medicinali, la conformità in materia di etichettatura, la completezza ed adeguatezza del dossier per lo sperimentatore. Di questi il più importante è il primo, che occupa peraltro grande spazio nell’articolo del testo normativo che descrive i 5 elementi. Dove è il problema? Il comitato etico si troverà ad esprimere un parere sugli 8 punti di sua competenza senza poter entrare nel merito del loro presupposto fondante, cioè i rischi e benefici della sperimentazione che sono, invece, appannaggio dell’autorità competente. Il Regolamento ha, per così dire, tagliato in due con l’accetta un unicum di valutazione assegnandolo a due organi di valutazione diversi. Ciò ostacola il secondo organismo, Il Comitato Etico, nel fare una valutazione adeguata alla sua parte, che presuppone di considerare il valore e la validità scientifica della stessa sperimentazione. Il problema è amplificato dallo stesso disposto normativo Europeo che ha inserito tutti i punti della parte I in un capitolo dedicato del capo V del Regolamento titolato “Protezione dei soggetti e consenso informato”. Quindi la robustezza della sperimentazione, della metodologia, anziché essere la premessa dei benefici terapeutici, leggendo il Regolamento, sembra un de cuius. Siamo di fronte ad una confusione già testuale. A questo si aggiunga che non tutti i paesi Europei, come invece ha fatto l’Italia, hanno concesso al Comitato Etico di potersi esprimere anche sulla parte I. In alcuni paesi, il ruolo del Comitato Etico è marginalizzato. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che una decisione negativa dell’organo di revisione della parte I in uno Stato membro comporta che il processo non possa proseguire in nessuno Stato membro, mentre una decisione negativa dell’organismo di revisione della parte II sulle questioni della parte I impedirebbe la prosecuzione del processo (se l’organo di revisione della parte I accoglie le osservazioni dell’organo di parte II) soltanto nello Stato membro che ospita quel particolare comitato etico. In sostanza, ciò significa che un processo potrebbe andare avanti in più Stati membri semplicemente perché l’organismo di revisione che ha riscontrato difetti nella parte I è l’organo di revisione della parte II. Naturalmente, anche in Italia, l’Autorità competente potrà poi seguire o meno le indicazioni espresse dal Comitato Etico, decidendo in totale autonomia se proseguire o bloccare l’autorizzazione alla sperimentazione. Ritengo questo molto grave sotto il profilo della tutela del paziente.

D: Quaranta Comitati Etici Territoriali. Troppi o pochi per valutare i protocolli di ricerca, seguire il decorso di sperimentazione degli studi clinici, svolgere funzioni consultive su questioni etiche connesse ad attività scientifiche ed assistenziali e proporre iniziative di formazione degli operatori sanitari in materia di bioetica?

R: Personalmente non ne farei una questione di numero ma di efficienza, di efficacia e di organizzazione del lavoro. Il nuovo assetto normativo ha dimezzato i Comitati Etici passando da una novantina a 40 comitati etici territoriali, ma ha anche definito con puntualità di cosa si dovranno occupare in via esclusiva: sperimentazioni cliniche di medicinali, indagini cliniche su dispositivi medici e studi osservazionali farmacologici.

Il loro carico di lavoro quindi con il Regolamento diminuisce e non aumenta. Viene meno, infatti, la dispersione di tempo ed energia nel caso di sperimentazioni multicentriche, dove ogni sperimentazione doveva essere vagliata, limitatamente ad alcune parti, dai comitati satelliti. Ora la valutazione di un Comitato vale per tutti i centri partecipanti.  Quindi, considerando che in Italia si presentano circa 700 nuove sperimentazioni all’anno, ogni comitato avrà una ventina di sperimentazioni da valutare. Queste valutazioni, però, dovranno essere fatte in tempi brevi secondo la tempistica del Regolamento e soprattutto dovranno essere svolte molto bene, perché un parere Nazionale ha ripercussioni su tutta l’Unione Europea. Quindi i Comitati Etici dovranno essere efficienti e veloci. Dovranno riunirsi rapidamente, quando serve entro poche ore, sfruttando la tecnologia.

Resta, infine, la questione delle altre attività di cui si occupavano i Comitati Etici preesistenti che possono essere esercitate ancora dai 40 attuali, come gli studi osservazionali non farmacologici e gli studi epidemiologici, che, a differenza di quanto previsto dal Regolamento, sono attività non normate e soprattutto non coordinate. Allo stato attuale, fuoriescono anche dalle competenze dello stesso Centro Nazionale di Coordinamento Nazionale dei Comitati Etici, istituito presso l’AIFA. La frammentazione è dovuta anche al fatto che i CET vengono istituiti dalle Regioni che sono poi competenti su di essi. Inoltre, le Regioni, in base al DM istitutivo dei nuovi CET, possono discrezionalmente decidere di mantenere operativi uno o più Comitati locali già esistenti, e non inclusi nella lista dei 40, per occuparsi delle attività che non rientrano fra quelle attribuite in esclusiva ai 40 di nuova istituzione. Resta sempre il nodo della loro regolamentazione e coordinamento, per cui sarebbe necessario un tavolo nazionale.