Scarsa informazione sui benefici e mancanza di professionalità adeguate in house frenano gli investimenti delle PMI agricole sulla digitalizzazione dei processi e della strumentazione

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Aprile 12, 2024

Un approccio timoroso all’innovazione, che sembra più promettente per chi ha grandi numeri in termini di superficie ed organizzazione interna. Ma l’azienda organizzata con più di 200 ettari di superficie non è la fotografia dell’agricoltura italiana, dove oltre il 70% delle aziende gestisce meno di 10 ettari e si avvale di una conduzione familiare. E’ quanto emerso lo scorso 15 marzo durante il convegno conclusivo dell’Osservatorio del Politecnico di Milano sullo Smart Agrifood, proponendo uno spaccato della maturità dell’economia agricola Italiana lato PMI e loro supply chain.  Domanda ed offerta viaggiano parallele senza un dialogo costante, costruttivo e di prospettiva. Non c’è dubbio che il mercato italiano delle tecnologie digitali in Agricoltura sta crescendo in fatturato. Nel 2022 era, infatti, pari a 2,1 miliardi di euro, nel 2023 è passato a 2,5 miliardi di euro, quadruplicando così il suo valore in soli 4 anni, posto che nel 2019 l’agricoltura 4.0 contava su 450 milioni euro. Ma se guardiamo al numero delle aziende che credono e corrono verso la tecnologia, siamo su percentuali minime con superfici estese (oltre i 200 ettari). Il grosso delle aziende italiane (entro i 10 ettari) sta ancora a guardare. I fattori critici sono i costi e la cultura, la formazione ed informazione sull’utilità e sostenibilità degli investimenti tecnologici.

Le scelte tecnologiche più gettonate

Ma vediamo il dettaglio delle scelte più gettonate e il perché. Al primo posto ci sono le soluzioni tecnologiche di monitoraggio e controllo dei mezzi e delle attrezzature in campo e quelle per controllare da remoto le coltivazioni dei terreni e le infrastrutture a supporto. Seguono i trattori intelligenti, macchine integrate da attrezzature dotate di sensori che generano dati ogni volta che vengono utilizzati collegati a software gestionali che analizzano, memorizzano e organizzano i dati per aiutare l’imprenditore agricolo a prendere decisioni. Il paradigma al centro di agricoltura 4.0 è il dato e la consapevolezza che ne deriva in termini di conoscenza e competenza.  Grazie ai sensori che utilizzano tecnologie IOT collegati a piattaforme software data analitics è anche possibile effettuare analisi predittive e o conoscere eventuali stati di malfunzionamento delle macchine o processi di usura. Questo non solo preserva la qualità ed il mantenimento in funzione delle attrezzature ma soprattutto evita di ritardare, arrestare o compromettere il processo di produzione agricola. Il livello di utilizzazione di almeno una soluzione tecnologica nelle aziende agricole e zootecniche italiane nel 2023, su un campione di più di 2000 aziende localizzate in tutta Italia, supera il 70% del totale. Ma il dato più interessante è che sta crescendo l’utilizzo in parallelo di più tecnologie che dialogano fra loro in una sorta di ecosistema digitale. L’integrazione fra le soluzioni tecnologiche è il trend di crescita rispetto all’anno precedente. Cresce anche la percentuale di superficie agricola coltivata con soluzioni di agricoltura 4.0 che nel 2019 era meno dell’1% mentre a fine 2023 sfiora il 10%. I principali benefici nell’uso di queste tecnologie sono l’efficienza intesa come ottimizzazione dei fattori produttivi (acqua, fitofarmaci, fertilizzanti, concimi e gasolio agricolo). Posso, infatti, tararne l’utilizzo grazie alle informazioni digitali, favorendo così la sostenibilità ambientale ed economica. Un altro importante beneficio è la consapevolezza oggettiva che gli imprenditori agricoli hanno dei fattori produttivi impiegati. Questo consente loro di attuare una strategia di medio o lungo termine sugli investimenti aziendali. 

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Vertical Farming: un’opportunità per l’agricoltura italiana?

L’appeal di queste tecnologie è la risposta all’aumento della popolazione mondiale e alla relativa richiesta di cibo a livello globale a fronte di una riduzione delle risorse, in primis la disponibilità di terreni coltivabili. Permangono però dei dubbi, come l’importante consumo energetico. Il vertical farming è la coltivazione indoor controllata su più piani sovrapposti che può utilizzare pratiche colturali differenti come l’idroponica (coltivazioni acquose ricche di sali nutritivi) e l’aeroponica (le piante sono coltivate in vasi dove le radici sono nebulizzate con sostanze nutritive). In entrambi i casi la pianta cresce fuori dal terreno ma l’obbiettivo resta di replicare nel miglior modo possibile per la pianta le pratiche colturali tradizionali. I tempi di sviluppo sono simili a quelli in campo, essendo poi ambienti controllati, è possibile armonizzare tutti i parametri necessari alla crescita degli ortaggi (luce, aria, acqua e terra) evitando erbicidi e pesticidi che non servono in un ambiente incontaminato. Tutto può essere coltivato ma non tutto ha convenienza economica. Molte Vertical Farming utilizzano l’automazione dei processi e sensori che operano con IA. Le principali coltivazioni sono ortaggi in foglia ma anche piccoli frutti e funghi. I principali benefici sono ambientali poiché si risparmia il 90% di acqua e terreno a parità di produzione in contesto tradizionale in campo. Questo grazie all’utilizzo di piani sovrapposti e di più cicli durante l’anno e alla focalizzazione dei principi nutritivi e dell’acqua solo sugli apparati radicali delle piante: le criticità sono i costi iniziando dallo stabilimento che può costare diversi milioni di euro e dai consumi energetici che dipendono anche dalla disponibilità o meno di fonti alternative in loco o in prossimità, dall’assetto energetico dell’area e dalla vicinanza alla logistica di distribuzione per ottimizzare la carbon footprint dell’azienda.

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Startup smart Agrifood: dove si colloca l’Italia?

Rappresentano dei veri e propri laboratori di ricerca e sviluppo per portare innovazione nel settore contaminando le aziende tradizionali. La loro distribuzione è concentrata fra il Nord America, in primis USA, e l’Europa, pari a oltre il 60%, ma dal 2021 anche l’Asia sta investendo molto, soprattutto in paesi come Cina, Singapore, Emirati Arabi e Arabia saudita. Le tipologie sono l’E-Commerce e l’Agricoltura 4.0. Le ragioni per cui questi paesi spingono sull’innovazione in agricoltura sono la food security e l’autosufficienza della materia prima dato il contesto ambientale e climatico. La percentuale di diffusione è fra il 20 ed il 25% con un 50% di investimenti erogati per il loro sviluppo.  Il numero maggiore è sui due estremi della filiera. In primis la produzione agricola con soluzioni di agricoltura e zootecnia 4.0, che mappano le aree coltivate per monitorarle da remoto o monitorano da remoto il benessere degli animali utilizzando gestionali evoluti che supportano le decisioni dell’azienda rendendola anche sostenibile. Risparmio delle risorse naturali ed economiche e carbon farming. In Asia fra il 2020 ed il 2022, crescono del 5% le Vertical farming. Altro polo di crescita di Start up smart Agrifood è l’e-commerce dedicato al mondo dei consumatori, con materie prime ma anche prodotti di eccellenza del made in Italy con servizi e strumenti per informare sui processi produttivi, su tempi e modi di consumo, sulla supply chain garantendo anche la tracciabilità dei prodotti.  

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Digitalizzazione e Carbon Farming: perché in Italia fatica a decollare

Grazie al Carbon farming oltre a fare bene all’ambiente diminuendo le emissioni di CO2, gli agricoltori possono godere di un contributo economico proporzionato alla riduzione di inquinamento che deriva dalle loro buone pratiche agricole. Il Nord America e il Nord Europa sono in cima alla lista dei progetti che favoriscono la diffusione delle tecnologie a supporto di questo obbiettivo (circa l’80% del totale) ma sul podio ci sta la Cina, seguita dagli stati Uniti. Il digitale ha un ruolo fondamentale in questo processo ma le criticità non mancano. La conoscenza dei processi e delle opportunità in primis. Solo il 22% delle aziende intervistate dall’Osservatorio Smart Agrifood Polimi sa che esiste questa opportunità, ma solo il 9% lo utilizza. Queste ultime sono peraltro aziende medio grandi, poco rappresentative del tessuto agricolo italiano. Manca anche una regolamentazione per standardizzare i criteri di valutazione dei volumi di Carbonio ed una uniformazione dei registri che dia ordine ai progetti e ai calcoli dei crediti.