Care support e DTx: convalida in via di definizione, ma serve un programma di formazione ed informazione degli operatori sanitari e dei pazienti

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Marzo 12, 2024

Da qualche anno si parla di transizione digitale nella sanità pubblica e privata, di fondi pubblici a supporto e di necessità di facilitare il rapporto fra medico e paziente grazie alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Quello che manca è una catalogazione ufficiale delle tecnologie digitali attualmente disponibili. Spesso, per mancanza di alternative, si ascrivono a Digital Health Technologies soluzioni che hanno altri scopi e potenzialità. Catalogarle è il primo passo per regolamentarle a livello nazionale e fare così ordine in un ginepraio di possibilità ancora non codificate. Per farlo è innanzitutto necessario mettere a sistema i requisiti metodologici del monitoraggio nelle fasi pre e post commercializzazione e anche già pensare alla loro usability, costruendo un percorso di formazione ed informazione degli operatori sanitari e dei pazienti.  Temi interessanti e stimolanti che ho voluto approfondire con Sergio Scaccabarozzi e Paolo Primiero, rispettivamente, vice-presidente e Segretario Generale di RIDE2med.

D: Cos’è un care support e in cosa di differenzia da una DTx in termini di processo e di obbiettivi?

S.S.: I Care Supports sono una  tecnologia digitale per la salute che probabilmente  avrà un largo uso nei prossimi anni, in quanto offrirà al paziente una gestione autonoma di una parte del percorso di cura, monitorando i suoi stili di vita e suggerendo comportamenti virtuosi. Nello specifico, ciò che differenzia il Care Support dal Digital Therapeutic non è il software, ma la valutazione clinica alla quale  le due tecnologie sono sottoposte. Nel primo caso documentare l’effetto su un processo, nel secondo caso, l’effetto su un esito clinico. In parole povere,  il Care Support  registra una serie di informazioni e le fornisce al paziente:  il miglioramento della consapevolezza di malattia, l’aumento delle ore di attività fisica, ect. La terapia digitale è, invece, come un farmaco, ha un approccio rigoroso, perché deve intervenire sulla patologia documentandone l’effetto.  Anche per le DTx i protocolli di sperimentazione clinica dovranno prevedere endpoint primari, basati su parametri di processo nella fase pilota e di esito nella fase confirmatoria.

D: La normativa di riferimento per entrambi è il regolamento europeo n. 2017/745 che non entra nel dettaglio della loro implementazione nel Servizio Sanitario Nazionale, su cui si sta ancora lavorando, sia sotto il profilo regolatorio che operativo. Che tempistiche immagina e quali difficoltà intravede?

S.S.: Nessuno in questo momento  è nelle condizioni di prevedere la tempistica esatta,  anche se un passo avanti è stato fatto con il DDL C1208 “Disposizioni in materia di Terapie Digitali degli onorevoli  Simona Loizzo  e Federico Serra, che è in discussione alle camere.  Il progetto di legge mira ad ottenere il rimborso sanitario della DTx dopo 12 mesi dalla sua certificazione come dispositivo medico e questo grazie al fatto che la stessa è stata inserita con successo nei LEA. Questo progetto legislativo allineerà finalmente l’Italia ad altri Paesi Europei virtuosi e lungimiranti.  Purtroppo, il Regolamento Europeo 2017/745 doveva entrare a regime nel 2020, anno horribilis, che ha fatto perdere tempo prezioso per organizzare il processo di certificazione dei diversi dispositivi medici previsti dalla norma comunitaria che vanno dalle siringhe al pacemaker con tutte le differenti analisi dei rischi ed esigenze di tutela connesse. Manca a volte in chi produce questi dispositivi, la consapevolezza della necessità di un approccio rigoroso nella loro validazione che dovrebbe essere la medesima di un farmaco. Non sempre è quindi adeguata la valutazione dell’importanza degli investimenti in ricerca e sviluppo e dell’organizzazione di una sorveglianza post commercializzazione. Occorre inoltre strutturare un percorso di ricerca rigoroso e metodologicamente inattaccabile, sostenuto da regole certe e condivise, come è stato nel corso deli ultimi decenni con le good clinical practices per quanto riguarda lo sviluppo dei farmaci.

D: Gli altri paesi Europei a che punto sono?

S.S.: Germania, Belgio, Spagna e Regno Unito hanno già certificato le DTx come terapie mediche autorizzandone il rimborso sanitario. Altri paesi sono nella stessa situazione italiana.

D: Convalida di un Care Support e convalida di una DTx. Quali differenze e criticità ci sono nei due processi?

S.S.: Nel primo caso abbiamo visto che l’obbiettivo è la valutazione sulla funzionalità del software, nel secondo la validazione di una terapia. Lo scorso luglio è uscita la “Guidance to Industry – Classification of Digital Health Technologies” che dovrebbe aiutare a fare chiarezza sul processo di convalida di un Care Support, differenziandolo così da una DTx ed offrendo agli organismi notificati elementi importanti per le valutazioni. Nel caso, invece, delle DTx io credo che gli studi clinici alla base della certificazione della DTx, devono essere ben disegnati da un punto di vista di vista metodologico rendendoli inattaccabili da critiche esterne. Come per i farmaci si può quindi pensare a studi randomizzati, controllati verso un placebo digitale ove possibile. Anche se da un punto di vista normativo non è previsto un monitoraggio accurato, come per i farmaci, si dovrà comunque prestare la massima attenzione alla qualità dei dati che vengono raccolti, dando indicazioni precise ai centri che li raccoglieranno perché siano sicuri, affidabili e robusti. Ripeto, non esiste però in questo momento un quadro definito ed universalmente accettato. Quello che è da evitare è un approccio semplicistico puntando tutto lo sviluppo di una terapia digitale su un unico studio, magari eccessivamente “semplificato”. Preferisco pensare ad un piano di sviluppo dei DTX che prenda spunto dalle recenti evoluzioni metodologiche applicate allo sviluppo dei farmaci. Mi riferisco a modelli adattativi che permettano da un lato di ridurre i rischi ed i costi di sviluppo, potendo modificare o sospendere lo studio in caso di evidente inefficacia, oppure cogliere l’opportunità di profilare inizialmente il prodotto come care support, continuando lo studio in attesa di una conferma statisticamente significativa come DTX.

D: Come si dice la domanda nasce spontanea, esistono sostanziali differenze metodologiche nello sviluppo di terapie digitali rispetto ai farmaci?

P.P.: Il punto di snodo in questa fase di assessment è la misura del business, che orienta la dimensione degli investimenti in Ricerca e Sviluppo che nei farmaci destinati alla cura di patologie a elevata prevalenza nella popolazione può essere mediamente dimensionata tra i 2 e i 3 miliardi di euro, comprendendo sia i costi diretti che i mancati guadagni fino al time to market. Differentemente, le terapie digitali si pongono per le aziende, start up o riconvertite rispetto a precedenti esperienze nell’Industria della Salute, come una soluzione economicamente molto più accessibile, mediamente parliamo di una proporzione 1 a 1.000. Quindi il rischio che questa differenza di scenario finanziario possa generare nello sponsor un abbassamento del livello di attenzione rispetto al rigore metodologico esiste concretamente. Pur nella fase di giustificabile evoluzione della costruzione nel nostro paese di un quadro regolatorio consolidato sulle terapie digitali, è opportuno che le conoscenze metodologiche e di gestione della qualità del dato clinico rappresentino un riferimento per consegnare alla classe medica prodotti affidabili, non solo dal punto di vista dei requisiti tecnici e della innocuità d’uso, ma anche coerenti in termini di efficacia rispetto agli obiettivi di cura. In quest’ottica, il ruolo di un attento monitoraggio clinico, tema a me molto caro, riveste un ruolo imprescindibile e di garanzia sia per il medico prescrittore che per il paziente utilizzatore finale.

D: Resta da capire l’utilizzabilità di queste tecnologie, come il paziente potrebbe porsi rispetto all’introduzione di terapie digitali.

P.P: Lo sviluppo delle tecnologie e la sinergia di competenze, distanti dalle conoscenze mediche tradizionali, ma funzionali alla ricerca e sviluppo di soluzioni digitali per la salute e complementari all’approccio farmacologico, hanno avviato un processo di evoluzione culturale nella popolazione rispetto all’accettazione dei percorsi di cura, in particolare delle patologie croniche. Anche il rapporto tra medico e paziente negli ultimi decenni ha subito una sostanziale trasformazione e sempre più frequentemente diventa essenziale, pur nel rispetto dei ruoli, una valutazione condivisa del trattamento della malattia, che tenga conto di un ventaglio più ampio e articolato di opportunità terapeutiche. Il paziente accede a una quantità di informazioni, peraltro non sempre controllabili per la fonte di provenienza e per l’affidabilità dei contenuti, che lo pongono con maggiore consapevolezza di fronte al rapporto tra aspettativa di salute e concreta possibilità di successo. In questo contesto, la tendenza nella pubblica opinione a sovrastimare, in taluni casi, l’impatto della tossicità dei farmaci anche rispetto a evidenti risultati in termini di efficacia, potrebbe rafforzare un “sentiment” positivo rispetto all’introduzione nella pratica medica comune di terapie digitali, percepite come innocue, oltre che innovative.

D: Quindi lei vede una strada in discesa o in salita per la diffusione delle DTx? 

P.P: Un impatto rapidamente positivo derivante dalla introduzione di terapie digitali nell’offerta complessiva di cura potrebbe essere rallentato da alcuni fattori di sistema, oggi non completamente prevedibili, ma dei quali possiamo avere qualche contezza. Uno sforzo di formazione e informazione rivolto ai medici, sia specialisti che di medicina generale, sarà necessario per allineare dal punto di vista culturale e operativo conoscenze e competenze, dove il fattore generazionale rischia di creare una differenza di sensibilità sull’utilizzo di nuovi prodotti all’interno della classe medica. Analoga attenzione dovrà essere posta nel frame educazionale dei farmacisti, naturali interlocutori dei pazienti, per garantire continuità e coerenza comunicativa con il medico oltre che appropriatezza a supporto dell’utilizzo della terapia digitale. Infine non trascurabile potrebbe essere l’impatto di processi di disinformazione

interessati da parte di players preoccupati di conservare intatte le proprie quote di mercato rispetto all’ingresso di soluzioni di cura digitali altamente innovative.

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SERGIO SCACCABAROZZI è un medico specializzato in chirurgia generale con 35 anni di esperienza nella ricerca clinica per aziende farmaceutiche e biotecnologiche internazionali. Dopo l’esperienza come Operation Research Manager alla fondazione IRCCS San Matteo di Pavia da un anno è direttore scientifico part-time di Arithmos, azienda di consulenza per il settore Life Sciences e, da luglio 2023, è vicepresidente della fondazione no profit Ride2med. Membro di società scientifiche e gruppi di lavoro sulla Ricerca Clinica, è relatore riconosciuto in eventi nazionali e internazionali, con un’attiva attività editoriale sulla Ricerca Clinica e sulle Scienze della Vita in generale.

PAOLO PRIMIERO è un medico, abilitato all’esercizio dell’attività di MMG, con 35 anni di esperienza in attività di monitoraggio clinico e di project management in sperimentazioni cliniche di medicinali. Docente a contratto da oltre 20 anni in Master e Corsi di Laurea ed ideatore del Corso di Laurea magistrale in Biotechnology Clinical Research presso l’Università di Roma Tor Vergata dove attualmente è titolare dell’insegnamento “Fondamenti di Ricerca Clinica” nel Corso di Laurea triennale in Biotecnolgie. Attualmente è Segretario Generale di Ride2med, Presidente di Assomonitor, l’associazione italiana dei Clinical Monitor e co-founder della start up Clinical Eye con focus sulla teleassistenza domiciliare di pazienti cronici.

RIDE2Med è una Fondazione senza scopo di lucro con sede a Milano, fondata nel luglio 2023 da un gruppo di professionisti italiani esperti in ricerca clinica e formazione medica. Si occupa di assistenza sanitaria, con particolare attenzione alla promozione dell’innovazione scientifica, alla ricerca clinica e alla sensibilizzazione degli operatori sanitari e del pubblico.