Una costante nella mia vita professionale è stata lavorare con persone più giovani di me. Almeno due generazioni dopo la mia se non tre. Ed è sempre stato appagante. Non tanto e non solo perché mi piace trasferire competenze ed esperienza, ma perché il dialogo e la condivisione con chi ha una prospettiva diversa è entusiasmante e stimolante, come un’iniezione di adrenalina, come un cannocchiale che ti fa vedere anche le stelle più lontane. Ho imparato da loro tantissime cose che da sola non avrei sperimentato: la tecnologia digitale, la comunicazione social, il linguaggio non solo verbale, l’approccio sciallo alla vita senza preconcetti e stereotipi. In un certo senso sono cresciuta anch’io con loro. Ora dedico un po’ del mio tempo alla formazione e all’orientamento per l’Istituto Tecnologico Superiore per il Turismo. Mi diverto tantissimo. In classe cerco sempre di portare manager e professionisti del settore che raccontino la loro storia e si aprano alla conversazione con gli studenti, aiutandoli a capire cosa li aspetta dopo il diploma. Ho pensato di chiedere ad alcuni di loro se mi raccontavano la loro esperienza con gli studenti. Ho fatto loro tre domande ed ecco le loro risposte.
R: Ogni lavoro è perfezionabile e l’esperienza sul campo è la vera palestra per diventare dei veri professionisti. Ho trovato quindi vincente l’idea di creare occasioni di incontro tra studenti ed esperti del mestiere, dove sia possibile per un giovane farsi solleticare da spunti e ispirazioni attraverso la condivisione di esperienze di chi le ha vissute.
Mi capita spesso, ad esempio, di accogliere ragazzi in stage, sia in cucina che in sala e ogni volta mi rendo conto che chi mostra più attitudine al lavoro è anche colui che più si interessa, attraverso domande e richieste di affiancamento e quindi condivisione.
R: Dal mio punto di vista, è lusinghiero riuscire a coinvolgere i ragazzi attraverso le mie capacità e poterli accompagnare in un percorso di crescita. Da qualcuno di loro ho ricevuto enormi soddisfazioni e nel tempo mi è anche capitato di chiedere loro qualche consiglio a mia volta su qualche tema specifico!
R: Sono rimasta colpita dall’esperienza che io stessa ho vissuto. Sono stata accolta dai ragazzi con rispetto e curiosità e non mi aspettavo tanta attenzione! Ho apprezzato che l’atteggiamento dei ragazzi avesse uno spirito interattivo e che abbiano quindi mostrato coinvolgimento, ascoltando la mia esperienza relativamente a quello che è mondo che li sta aspettando!
R: In un momento storico come quello attuale in cui in quasi tutti i settori, specialmente in quello dell’accoglienza e dell’ospitalità si lamenta una carenza grave di candidature ed una difficoltà crescente nel reperire risorse valide, ritengo che sia necessario aprirsi a nuove metodologie di recruting. Uscire dalle nostre realtà quotidiane, rivolgersi all’esterno, lasciare una posizione passiva di attesa e preferire una ricerca attiva. Il modo migliore per attirare giovani talenti da far crescere e a cui cercare di trasmettere non solo la passione per un lavoro che va a toccare materie ed argomenti unici, ma anche le competenze che molto spesso i percorsi istituzionali di studio, sia pur nella loro specializzazione, non sono in grado di fornire, credo sia quello di comunicare, raccontare e portare testimonianza del “bello” di questa professione e delle sue svariate declinazioni.
I feedback più belli e costruttivi sono quasi sempre concentrati nel “post” presentazione, quando a fari spenti i ragazzi si avvicinano alla spicciolata, non solo per ringraziare della testimonianza ma per “chiedere”, fare domande, approfondire aspetti e sfumature riguardanti gli argomenti trattati, il miglior feedback credo sia proprio riscontare interesse negli auditori.
Non credo esista un modo giusto od uno sbagliato per approcciarsi ai giovani. L’attenzione va conquistata secondo dopo secondo, le metodologie di fruizione dei contenuti e il flusso d’informazione che i giovani sono abituati a ricevere si scontrano fortemente con i “tradizionali” metodi educativi. Non solo il rapporto “allievo – maestro” andrebbe ripensato, ma anche e più semplicemente la relazione tra chi parla e chi ascolta. Ridurre le distanze, partire dal “far parlare” l’ascoltatore, così da impostare un dibattito attivo su cui poi costruire una lezione o tramite cui far passare un messaggio. Se siamo certi delle nostre argomentazioni, non avremo mai bisogno di nasconderci dietro l’autoreferenzialità o il distacco verticale, ma saranno loro stesse a parlare per noi.
Chi ha un’esperienza professionale alle spalle che ha acquisito sul campo e negli anni, ha il dovere di trovare un modo per coinvolgere i giovani, che li possa trattenere, motivare, incoraggiare, responsabilizzare al fine di far emergere il loro potenziale. Grazie alla condivisione del proprio bagaglio professionale deve cercare di far convergere due mondi che sembrano distanti ma che attraverso il confronto possano insieme ridisegnare nuove esperienze di collaborazione e nuove metodologie di lavoro.
Il desiderio dei giovani è che l’Azienda diventi per loro un laboratorio, un luogo di studio e sperimentazione continui e nello stesso tempo richiedono alla stessa di rivedere parte delle strategie di recruiting, cercando il più possibile di riadattarle alle loro esigenze (flessibilità). Vogliono essere “formati” ma anche “ascoltati”.
La percezione e le aspettative delle giovani generazioni verso la vita e il mondo del lavoro sono cambiate anche a seguito della pandemia e del contesto socio-politico attuale, fattori che hanno impattato e impattano ogni giorno sulle loro scelte personali e professionali. Hanno eretto a principio imprescindibile il cosiddetto work-life balance, che li ha condotti a seguire un modello di crescita e carriera diverso dal passato. Mettono al primo posto le relazioni umane anche nei rapporti lavorativi per costruire un ambiente che sia “sostenibile”, nel quale esprimersi.