Le tante qualità dell’Irpinia e il rebranding dei classici piemontesi

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Diario dei miei incontri culturali a Vinitaly 

Quando mi chiedono com’è Vinitaly rispondo sempre che è un luogo dove è facile “perdere la testa”. C’è una tale e tanta offerta di esperienze che, anche il più rodato frequentatore di eventi fieristici, fatica a rispettare l’originaria programmazione delle sue giornate. Gli spazi sembrano dilatati, ma solo perché, lungo 100 metri di cammino, ti fermi due se non tre volte per salutare qualcuno o assaggiare un calice di un’anteprima con il produttore, mentre il tempo, scorrendo inesorabilmente, complica l’agenda. La verità è che Vinitaly è così, diversa da qualsiasi altra manifestazione internazionale sul vino, perché è la sola che da sempre rappresenta il Made in Italy a tutto tondo, compreso lo spirito creativo del Bel Paese. È la nostra bellezza. La qualità del vino per noi italiani non è un concetto tecnico, ma assoluto. Assomma al vino “fatto come si deve” l’universo delle sensazioni che le relazioni umane scatenano. Producendo endorfine e creando empatia. Con questa consapevolezza, ho organizzato la mia visita a Vinitaly con pochi appuntamenti professionali e due obbiettivi culturali: scoprire un territorio come l’Irpina e assaggiare una rivisitazione dei classici Piemontesi.  

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credits Veronafiere -Ennevifoto

L’Irpinia

È un territorio meravigliosamente struggente, a circa 50 Km da Napoli. Merito degli accadimenti, come il terremoto del 1980, che ha sfidato chi ci vive ad essere più forte, ma anche dell’orografia che, complice l’Appennino, ha diviso in due il territorio, portando da 300 a 1800 le altitudini sul livello del mare, creando microclimi ed approcci alla coltivazione diversi. Con questa premessa è facile intuire che non esiste un Taurasi docg, un Aglianico doc o un Fiano di Avellino docg, ma tante diverse sfumature ed interpretazioni di questi vini. Ed esistono tante storie da ascoltare mentre giri il vino nel calice. Come quella di Marianna ed Adriano dell’azienda “Tenuta Madre”, che dopo anni in giro per il mondo, si sono ritrovati ed innamorati, mettendo su famiglia ed azienda. Producono a Montefalcione il loro cru di Fiano di Avellino “I sognatori”, da un vigneto trentennale di 1,2 ettari; mentre da poco meno di 1 ettaro producono il cru di Taurasi “Vigna Carrani” che ha una ventina di anni. Altri ettari entreranno gradualmente in produzione per arricchire la scelta dei prodotti con un secondo cru di Fiano di Avellino, essendo l’esposizione e le caratteristiche pedoclimatiche del suolo abbastanza differenti rispetto al vigneto de I Sognatori. La storia familiare è quella della coltivazione della vigna per conferire a terzi il prodotto. Con Marianna ed Adriano si apre un nuovo capitolo: la produzione del vino. La affrontano con passione e serenità a partire dalle scelte: mantenere un forte legame con il territorio e avere una salda concretezza nelle progettualità. Se chiedi a Marianna dove si vede fra dieci anni ti risponde:” mi vedo con una produzione limitata e di qualità, con un’azienda che guarda all’accoglienza, che promuove la bellezza del territorio e dei racconti dei produttori, racconti fatti di verità ed emozioni”. D’altronde, come dice lei stessa: “produciamo in Irpinia due dei vini bianchi, il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo, più entusiasmanti sul territorio nazionale e custodiamo ancora dei luoghi incontaminati poiché i nostri vigneti si diffondono in maniera discreta e riservata”. Il Fiano di Avellino “I sognatori” è esattamente così: ti aspetti un vino e scopri molto altro, inaspettato, come in un sogno. Raccolta a mano delle uve, fermentazione in acciaio inox e in piccole botti di rovere, viene affinato per sette mesi in bottiglia. Fresco, minerale e dal profumo agrumato.  

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credits Tenuta Madre

Le mie scoperte in Irpinia non sono finite, viaggiando da Montefalcione a Paternopoli, trovo l’azienda Fiorentino. Vini rossi del territorio e un amore, lungo molti decenni, che potrebbe diventare un film da vedere sulle moderne piattaforme di streaming service. La storia è quella di una famiglia molto legata alle tradizioni ma capace di proiettarsi oltre. Come davanti ad un terremoto, quello “famoso” del 1980, che ha scisso la famiglia, lasciando Gianni e i suoi fratelli soli con la madre a gestire l’azienda, mentre il padre, emigrato, lavorava a Chelsea in Massachusetts. Ora Gianni è il fulcro dell’azienda, lavora pensando al territorio e a cosa vuole dire con i suoi vini, prestando attenzione alle impressioni ed ai feedback dei winelovers che visitano l’azienda. È innovativo, perché crede nella tecnica agricola e nel progresso, ma sa che in agricoltura il tempo, l’attesa, sono due fattori cruciali che vanno rispettati ed assecondati. Poi c’è la passione, quella che non si studia e non si impara e che lo ha sostenuto nelle scelte di una vita e, poi, nell’impostazione dell’attuale lavoro. Ho assaggiato con lui l’Irpinia Aglianico doc, il Taurasi Docg ed il Taurasi Docg riserva 2018. Piacevolissimi. Morbidezza, eleganza ed equilibrio sono note comuni nei vini, ottenuti tutti da vigneti di proprietà con raccolta a mano fra ottobre e novembre. Solo botti grandi di rovere francese per affinare il Taurasi, anche un breve passaggio in barrique per l’Aglianico. Soddisfatta, anzi direi meglio appagata, continuo il mio viaggio.

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credits Gianni Fiorentino

Il Piemonte

Paola Lanzavecchia è una giovane enologa che, già quando le parli, capisci che lei è oltre. Con il padre gestisce una storica cantina piemontese, Villadoria, che vanta premi e riconoscimenti internazionali. Ma non le basta. Il futuro è conquistare i consumatori che non sanno ancora di amare il vino e costruire esperienze indimenticabili in un territorio patrimonio dell’Unesco, le Langhe. Decide così di riammodernare la tenuta per trasformarla in luogo di accoglienza diffusa e di ribrandizzare l’azienda. Punto di partenza i vini. Puliti, freschi e di facile beva senza perdere in tipicità. Un esercizio virtuoso per domare tannini, mantenere tipicità ed evolvere in eleganza. Il Nebbiolo Doc che ho assaggiato è esattamente così, riconoscibile, ma piacevolmente morbido. Punto di arrivo l’ospitalità. Il vino è un frutto del territorio in cui nasce e vive. Conoscere dove ti trovi fa parte dell’esperienza di degustazione. Ma per approfondire dove sta la vera sfida in questa angolatura del wine tasting e mettere a fuoco alcune suggestioni che ti propone il calice, ho deciso di lasciar decantare i miei pensieri ed attendere un nuovo Vinitaly.

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credits Villadoria