A meno di 8 anni dal Green Deal Europeo, quando L’Europa dovrebbe raggiungere un punto di svolta nella scissione fra la crescita economica ed il consumo dell’ambiente e delle risorse naturali, gli obbiettivi preventivati al 2030 sembrano ancora possibili ma in salita. Il traguardo 2050 della riduzione del gas serra, grazie all’azzeramento del fattore umano in Europa, ha due fondamentali strumenti di attuazione: la Strategia Farm to Fork e quella sulla biodiversità. La prima, in particolare, che mira alla creazione di un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente, richiede un approccio metodologico trasversale estremamente complesso per mantenere le tempistiche preventivate. La seconda invece punta a ripristinare molta di quella parte di natura compromessa da fattori umani e climatici, per garantire la conservazione di un patrimonio genetico indispensabile nella catena alimentare a cui partecipa anche l’uomo
La Strategia riguarda sei aspetti: la sostenibilità della produzione alimentare, la sicurezza nell’approvvigionamento alimentare (la c.d. Food Security), la sostenibilità nelle fasi delle filiere alimentari successive a quella agricola (distribuzione, vendita, ristorazione, etc.), la promozione di un consumo alimentare sostenibile, la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e la lotta alle frodi nelle filiere alimentari.
Entro il 2030, ogni stato membro dovrà impegnarsi a:
A corollario di ciò, la Commissione ha già proposto un sistema di etichettatura nutrizionale più incisivo (nutriscore/nutribattery), lavora per l’introduzione dei criteri minimi obbligatori per gli appalti sostenibili nel settore alimentare e proporrà una rosa di obbiettivi per ridurre del 50% lo spreco alimentare.
Quando si parla di crisi climatica non si pensa al nesso di causa effetto con la crisi della biodiversità. Da alcuni anni, ormai assistiamo a fenomeni apparentemente inspiegabili di siccità, inondazioni e incendi boschivi, che se accelerano la distruzione dell’ambiente naturale, a loro volta trovano nel consumo della natura una delle loro principali cause. Tutelare la biodiversità sarà, quindi, fondamentale per garantire la sopravvivenza del nostro pianeta e di noi stessi. La strategia Unionale ha formulato, così, gli obbiettivi vincolanti di ripristino della natura entro il 2030.
Essi sono:
Se nessuno discute sulla bontà degli obbiettivi, esistono alcune perplessità in merito alla valutazione effettiva dell’impatto globale di questi obiettivi sul settore agroalimentare. Se ne sta discutendo in seno al Parlamento italiano, per capire se si può effettivamente parlare di un processo di trasformazione in equilibrio fra costi e vantaggi e quindi sostenibile, oppure, i tempi e gli obbiettivi rischiano di rivelarsi un boomerang riducendo la competitività dell’agricoltura europea ed in particolar modo dell’agricoltura italiana.
Fra le questioni più controverse ci sono: l’incremento delle superfici a biologico negli Stati Membri per arrivare ad avere almeno il 25% dei terreni coltivati a bio in Europa; la riduzione drastica di mezzi tecnici in campagna (50%) a favore di soluzioni ecocompatibili; la riduzione del 10% dei terreni agricoli per favorire aree ad alta biodiversità. Ad alimentare la dialettica contribuiscono i risultati emersi da alcuni studi scientifici ed economici. Secondo il Dipartimento federale dell’agricoltura americano e l’università di Wageningen, in Europa ci sarà una sensibile riduzione delle produzioni agroalimentari (stimata dal 7 al 12 % in meno), di converso, i prezzi al consumo potrebbero aumentare nell’ordine del 17%, circostanza questa che porterà ad un incremento dell’import di prodotti agricoli da Paesi terzi che, invece, non sono tenuti a rispettare queste regole e questa normativa. Per quanto concerne l’export Europeo calerebbe del 20%, con una riduzione del PIL di circa 58 miliardi di euro ed incremento potenziale della povertà per altri 22 milioni di persone.
Secondo uno studio del Joint Research Centre della Commissione Europea, basato sul modello Common agricultural policy regionalised impact (CAPRI), i risultati peggiori ( -15% della produzione) saranno a danno del comparto zootecnico bovino-pollo-suino e per le coltivazioni di cereali, semi oleosi e ortofrutta. Ma il punto più critico tra quelli prospettati, riguarda proprio le emissioni di gas serra. Se, infatti, la strategia Farm to Fork, in Europa, potrebbe contribuire a ridurre del 28,4% le emissioni di gas ad effetto serra del settore agricolo entro il 2030, circa la metà di questo risparmio verrebbe azzerato dall’aumento di produzione di gas serra da parte dei paesi terzi interessati a colmare, con la loro agricoltura, la domanda Europea.
In attesa di capire se ci saranno riallineamenti in corso d’opera, resta il fatto che quando si parla di sostenibilità non si può prescindere da quella economica sia delle imprese che dei consumatori finali, senza le quali non è possibile raggiungere gli altri due “pilastri”, ambientale e sociale e, così, chiudere il cerchio.