Via libera ad un unico parere a valenza nazionale anche per gli studi osservazionali farmacologici retrospettivi, possibilità, a determinate condizioni, di valutazione aggiuntive se c’è il consenso informato del paziente e di raccolta dei dati direttamente dal paziente incluso dati trasmessi on line da dispositivi indossabili. La nuova linea Guida dell’AIFA per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n.194 del 20 agosto 2024, chiarisce e semplifica alcuni passaggi importanti nella ricerca clinica con metodo osservazionale, ma non risolve tutti i problemi. Risulta ancora poco chiara la modalità di coniugare la definizione regolatoria di studio non interventistico con quella metodologica di studio osservazionale, non viene affrontato il tema dei rischi per le valutazioni aggiuntive di uno studio osservazionale, si invita a seguire la Linea Guida anche per gli studi non farmacologici e sui dispositivi medici, ma il muro insormontabile del vuoto di competenza lo limita ad un semplice auspicio. Se non si assiste ad una Rivoluzione Copernicana è tuttavia sicuramente un gran passo avanti rispetto alla precedente versione della Linea Guida datata 2008, fortemente richiesto dalle istanze di aggiornamento proposte da varie associazioni e operatori del settore negli ultimi anni. Per approfondire gli aspetti più cruciali e rispondere a qualche interrogativo ho rivolto alcune domande a Giovanni Fiori, già fondatore e past President di MEDINEOS, consulente esperto in progetti sull’utilizzo di RWD, e a Celeste Cagnazzo, coordinatrice della ricerca clinica presso la struttura complessa di oncoematologia pediatrica dell’ospedale Regina Margherita di Torino.
… Tanto e poco allo stesso tempo. Tanto perché il lungo, talvolta psicologicamente estenuante, lavoro fatto in questi anni per diffondere una visione corretta sul piano metodologico della ricerca clinica osservazionale ha dato i suoi frutti e ha generato un cambiamento culturale. Nella nuova linea guida AIFA troviamo infatti molti degli elementi che erano stati segnalati come critici: la necessità di un parere unico (anziché la “semplice notifica” ) anche per gli studi retrospettivi, il fatto che uno studio rimanga di natura osservazionale anche se si aggiungono procedure valutative e di monitoraggio necessarie per meglio comprendere il fenomeno oggetto dello studio, e la necessità di poter utilizzare anche dati derivati da analisi di farmaco-genetica e farmaco-genomica, da uso off-label di prodotti già in commercio o da programmi di uso compassionevole, oltre che tramite raccolta dati direttamente dai pazienti, giusto per citare alcuni esempi. Ma anche poco perché alcuni di questi temi sono stati affrontati solo parzialmente, con meno coraggio di quello che avevamo auspicato. Forse anche per questo motivo alcune raccomandazioni e istanze sono state ignorate.
La differenza tra queste due definizioni è legittima. Quella regolatoria parte dal presupposto che occorra difendere il SSN ed i pazienti da rischi e da abusi. E’ dunque una prospettiva di prevenzione ed ha un sapore prevalentemente legale. Quella metodologica è invece coerente con la visione della scienza e della ricerca clinica in particolare, che ha come obiettivo quello di utilizzare i metodi migliori e nel modo più corretto per rispondere a dei quesiti utili a migliorare le cure e dunque la salute e la qualità di vita dei pazienti. Nel caso della ricerca clinica con metodo osservazionale – a differenza di quella con metodo sperimentale – questi due mondi, quello delle “Leggi” e quello della “Scienza” – si sono parlati troppo poco e da troppo poco tempo e non hanno trovato ancora un linguaggio comune, una sintesi equilibrata. Se dunque non si parte da una chiara visione metodologica della ricerca osservazionale il mondo delle leggi rischia di scrivere cose impraticabili invece che individuare soluzioni che tutelino adeguatamente SSN e pazienti ma al contempo consentano ai ricercatori di fare bene ed in modo semplice il proprio lavoro, a beneficio del SSN e dei pazienti.
Sicuramente occorre lavorare su almeno due fronti. Da un lato aumentare le competenze metodologiche e ampliare la preparazione culturale di chi si occupa di progettare, valutare, condurre e regolamentare la ricerca clinica, dunque occorre lavorare con tutti gli stakeholders del processo: ricercatori dell’industria e indipendenti, clinici, comitati di etica, agenzie regolatorie, direzioni sanitarie ed anche i pazienti. Dall’altra superare l’organizzazione a silos della ricerca clinica in Italia dove quella farmacologica è separata da quella clinico-epidemiologica, da quella sui dispostivi medici, sui nutraceutici, sulla qualità delle cure e dalla farmacoeconomia. Un’agenzia unica nazionale della ricerca deve essere il prossimo importante obiettivo su cui tutti dovremo lavorare.
La nuova linea guida AIFA ha certamente fatto dei passi in avanti rispetto alla possibilità che uno studio possa essere considerato osservazionale anche nel caso dell’aggiunta di tecniche aggiuntive che non si discostino eccessivamente – per frequenza e impatto sul paziente – dalla normale pratica clinica. Stante che ci sarà un comitato etico a valutare la correttezza del disegno di studio identificato dal promotore, effettivamente il tema dell’assicurazione resta un vulnus. Siamo d’accordo che se osservo semplicemente qualcosa, ad esempio la tossicità di un farmaco dato in accordo alla AIC, non ho bisogno di attivare una assicurazione studio specifica. Ma nel caso vi siano delle tecniche aggiuntive? La linea guida non deve diventare un pretesto per non porsi problemi rispetto alla necessità di tutela del paziente arruolato. Le società scientifiche in passato avevano proposto una dicitura pertinente: nel caso di procedure aggiuntive di tipo invasivo o che, a giudizio del CE, possano comportare, seppure in via ipotetica, dei rischi per il soggetto, dovrà essere stipulata apposita polizza assicurativa a carico del promotore dello studio”. Purtroppo il suggerimento non è stato accolto.
Secondo me in questo caso la colpa non è tanto di AIFA o di una definizione scarna contenuta all’interno delle linee guida. In primo luogo paghiamo l’assenza di un’agenzia della ricerca, che possa dare indicazioni trasversali e soprattutto legiferare in ambiti che esulino dal contesto farmaco e/o dispositivo. In secondo luogo credo il tema vero riguardi unicamente l’aspetto privacy, attorno al quale aleggia ancora una nube di incertezza, possibilità di interpretazione personale, cavilli inutili e, permettimi, scarsa formazione erogata agli addetti ai lavori. Un utilizzo secondario dei dati non è sempre detto che corrisponda ad uno studio clinico, pertanto credo sia corretto domandarsi caso per caso se rientri o meno nell’ ambito di applicazione della linea guida. Le domande vere sono altre: quali dati posso usare? In che tempi? Con quali basi legali? Del resto il Regolamento 536/2014 ci consentirebbe un utilizzo secondario dei dati originariamente raccolti all’interno di una sperimentazione clinica, per giunta senza ulteriore consenso del partecipante. Eppure in Italia il concetto di “one time consent” non è stato mai davvero accettato. A questo aggiungerei anche un altro tallone d’Achille tutto nazionale: le infrastrutture informatiche. Lavoriamo ancora con cartelle cartacee, sistemi elettronici non validati, sistemi misti…Anche se potessimo, come – da un punto di vista pratico e qualitativamente accettabile – gestiremmo i dati?
Le due cose seguono percorsi diversi. Il profilo utente esterno in RSO risponde alla necessità, da tempo segnalata dall’Europa, di aumentare la trasparenza verso i cittadini. I nuovi criteri di trasparenza sono stati introdotti con la normativa comunitaria sulle sperimentazioni cliniche (il Regolamento 536/2014) e queste linee guida non potevano che adeguarsi a tali dettami. La necessità di consenso informato, invece, ha un obbiettivo diverso: serve come base legale per poter raccogliere ed utilizzare i dati necessari a dimostrare gli obiettivi dello studio. Le alternative sarebbero la norma di legge (quindi una ricerca avviata perché una precisa legge lo ha imposto) oppure l’interesse pubblico, concetto quest’ultimo che in Italia fatica ad essere accettato.
Ecco che di nuovo paghiamo lo scotto di non avere una Agenzia della ricerca. AIFA ha fatto tutto quello che poteva, per giunta invitandoci in premessa a prendere le linee guida come riferimento anche nella valutazione di studi osservazionali non farmacologici. In realtà ci aveva anche provato il Centro di Coordinamento Nazionale dei Comitati Etici (CCNCE), con l’illuminante documento ” Ricerca osservazionale: un pilastro nel processo di produzione di conoscenza”. Ma di nuovo: AIFA può legiferare solo in ambito farmacologico; il CCNCE non può legiferare, e in ogni caso il suo mandato è ristretto al farmaco e al dispositivo. Siamo all’assurdo: per una sperimentazione di fase I ad alto rischio è sufficiente che si esprima un solo Comitato Etico, per una banale – inteso come livello di rischio per il paziente – ricerca sulla qualità della vita si deve fare ancora “il giro delle Chiese” e passare da tutti i comitati dei centri coinvolti. Cosa fare? Molti invocano passi simili a quelle di Regione Lombardia. Anche quell’approccio tuttavia ha i suoi limiti visto che la delibera regionale non ha valore extraterritoriale. Tradotto: se il primo comitato etico ad esprimersi non è Lombardo, Regione Lombardia può applicare la sua delibera, non riportando lo studio in seduta e accettando di default il parere unico. Se, al contrario, il primo comitato ad esprimersi è lombardo, non è detto che un centro partecipante extra regione possa partire senza che il comitato etico a cui afferisce abbia formalizzato in seduta l’accettazione del parere unico. L’unica speranza al momento sarebbe un accordo tra regioni, in modo che tutte si adeguino al modello lombardo. I primi rumors, invece sembrano andare esattamente nella direzione opposta; del resto il fatto che due regioni (Puglia e Sicilia) abbiano deciso di mantenere anche dei comitati etici locali, mi sembrava un bel campanello d’allarme.