Terapie Digitali: un’opportunità non capita dal “Sistema Paese” che presto diverrà una necessità. Servirà la lungimiranza di investimenti privati sulla sperimentazione. 

studi osservazionali
La nuova linea guida AIFA inaugura un cambiamento culturale sugli Studi Osservazionali. Restano ancora alcune questioni aperte: il “buco” sulle conoscenze della metodologia lungo tutta la filiera e l’assenza di una “regia” nazionale sulla ricerca. 
Ottobre 15, 2024

Sono già trascorsi 5 annida quando in Italia si è iniziato a parlare di Terapie Digitali (Digital Therapeutics – DTx) sull’onda della normativa Europea che incentivava il ricorso all’innovazione tecnologica e digitale nella cura delle malattie. Soprattutto se patologie croniche e disabilitanti. Si offriva così al nostro Paese l’occasione di anticipare gli altri, predisponendo un quadro regolatorio certo e chiaro dalla sperimentazione sino alla commercializzazione delle DTx. Questo avrebbe garantito all’Italia un flusso di investimenti privati per l’industrializzazione di queste terapie, aprendo così nuove opportunità per la ricerca e sviluppo di cure mediche innovative. Oggi siamo ancora in attesa di una normativa nazionale che accrediti queste terapie, che restano ancora escluse dal Sistema Sanitario Nazionale. Ma nella foschia alcune certezze si sono fatte strada. Le terapie digitali sono dei Dispositivi Medici disciplinati dal Regolamento UE 2017/745, la cui commercializzazione è subordinata alla certificazione/marcatura CE ed il cui percorso è correlato alla classe di rischio attribuito dal fabbricante. Sono oramai disponibili in vari Paesi con un fatturato che nel 2024 toccherà i 4,68 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuale del 20%. Devono essere prescritte da un medico. Il loro utilizzo richiede un processo di sensibilizzazione sul loro uso ed i loro benefici lungo tutta “la filiera “: professionisti sanitari, caregivers, pazienti. Per fare il punto, ho intervistato il professor Gualberto Gussoni, Presidente della Fondazione RIDE2Med, ed Editor di una monografia della Rivista “Tendenze Nuove”, recentemente pubblicata e dedicata all’argomento..

Professor Gussoni, è chiaro che le terapie digitali hanno grandi potenzialità nelle patologie che richiedono un supporto terapeutico psicologico o dove può essere utile migliorare il comportamento dei pazienti. La normativa Europea lascia però ai produttori un margine di valutazione che, alla fine, premia la rapidità di immissione in commercio e non la potenziale portata terapeutica del dispositivo. Quale rimedio in Italia?

Il nostro Paese ha come prima necessità quella di fare in modo che le terapie digitali possano diventare parte delle opzioni mediche anche per i nostri pazienti, con regole chiare che non ci pongano in condizioni penalizzanti rispetto ad altri Paesi. Queste regole dovrebbero incentivare chi ha già prodotti in commercio in altri contesti a portarli anche da noi, ma anche favorire lo sviluppo di prodotti Made in Italy per evitare o almeno limitare la colonizzazione che già abbiamo sperimentato nel mondo del farmaco. Dall’altra parte, proprio perché si tratta di prodotti con un obiettivo terapeutico, non si può prescindere dal fatto che essi abbiano una validazione sperimentale rigorosa. Una indicazione in questo senso ci viene dalla Proposta di Legge c1208 presentata alla Camera dei Deputati nel Giugno 2023 con prima firmataria l’On. Simona Loizzo,  che prevede la possibilità per una terapia digitale di entrare nei LEA,  un meccanismo di rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale, a condizione che per essa siano disponibili almeno due studi clinici che abbiano prodotto evidenze di elevata qualità.    

Quanto pesa nel nostro Paese il rimborso del Servizio Sanitario Nazionale nell’accesso alle DTx e quanto l’informazione e formazione sulle stesse e sui loro benefici?

La possibilità di avere un rimborso da parte del SSN è molto importante, e non farebbe che emulare quanto, seppur con meccanismi differenti, sta di fatto avvenendo in Paesi come Germania, Francia, Austria, Belgio e altri. Partiamo con il dire che i costi di questi prodotti, per ciclo di terapia che in media è intorno ai 3 mesi, si aggirano sui 300 Euro circa (ovviamente con scostamenti in più o in meno). Se teniamo fede a una indagine svolta lo scorso anno dall’Osservatorio Life Sciences Innovation del Politecnico di Milano, solo il 5% dei pazienti sarebbe disponibile a spendere più di 100 per un ciclo di terapia. E questo ci dà la misura di quanto un rimborso potrebbe favorire l’accesso a queste terapie anche nel nostro Paese, oltre ad offrire una prospettiva molto più rassicurante a chi volesse investire nello sviluppo di questi prodotti. Il tema della formazione e dell’informazione di professionisti sanitari e cittadini/pazienti è però altrettanto rilevante, perché senza consapevolezza dell’esistenza di queste tecnologie, delle opportunità e delle sfide che possono offrire, è difficile ipotizzare un loro successo. Questa consapevolezza è alla base dell’idea di RIDE2Med, la Fondazione no profit che ho co-fondato e ho l’onore di presiedere, e che propone un approccio di “sviluppo circolare” delle DTx costituito dall’abbinamento di validazione clinica rigorosa dei prodotti e creazione di awareness per il loro utilizzo ottimale da parte di professionisti sanitari e pazienti.

Come vive il mondo del farmaco l’ingresso delle terapie digitali, come una opportunità o come una minaccia?

Il mondo Pharma potrebbe essere un catalizzatore importantissimo per l’affermazione di queste tecnologie, perché possiede know-how sulla metodologia della ricerca e ha strutture strategiche e commerciali capaci di massimizzare il ritorno degli investimenti di sviluppo per le DTx (che sono peraltro molto più bassi di quelli tipici per un nuovo farmaco). L’impressione però è che vi sia una diffusa diffidenza, forse legata ad alcune perduranti incertezze regolatorie, ma forse ancor di più al timore che le terapie digitali possano rappresentare una minaccia per il farmaco. A mio avviso ciò, almeno nell’immediato, ha poca ragion d’essere, perché il posizionamento più ragionevole delle DTx è in questa fase quello in aggiunta al farmaco, ad integrare gli effetti di quest’ultimo per i pazienti che hanno un insufficiente controllo della loro malattia. Vedo difficile che, almeno in una prima fase di familiarizzazione con queste tecnologie, il medico si senta di prescrivere una terapia digitale in sostituzione del farmaco, o scelga l’opzione digitale come monoterapia in un paziente di nuova diagnosi. In questo senso, l’abbinamento con una terapia digitale potrebbe configurare un beneficio indiretto anche per il farmaco, e mi auguro che il mondo Pharma lo capisca in fretta. 

Quali potrebbero essere gli scenari di prescrizione, distribuzione ed utilizzo delle terapie digitali in Italia? 

Abbiamo già detto di quanto possa essere importante, in un contesto sanitario come quello italiano, la possibilità di poter contare sul rimborso di una terapia digitale. Sia per l’obiettivo terapeutico di queste tecnologie, sia appunto nella prospettiva di un rimborso, non sembra esservi dubbio sulla necessità che vi sia una prescrizione medica. Personalmente credo però che un vero successo di queste tecnologie non possa che essere legato alla compartecipazione di più attori. Faccio in particolare riferimento alle farmacie, che rappresentano un presidio territoriale nel sistema di gestione delle malattie croniche, che sono quelle alle quali le DTx si rivolgono. Immagino un sistema nel quale siano i farmacisti a distribuire i codici di accesso alle piattaforme informatiche che erogano le terapie digitali, a fare un training iniziale per l’utilizzo dell’app, e poi ad agire da filtro che si affianca al medico per la sorveglianza rispetto all’utilizzo. Senza dimenticare l’importante ruolo di sensibilizzazione e formazione che si auspica possano svolgere altri attori come le Associazioni Scientifiche e quelle dei Pazienti.

Il mondo delle tecnologie digitali per la salute comprende anche prodotti che a stretto rigore non rientrano nella categoria delle terapie digitali, ma possono portare benefici ai pazienti. Come potrebbero collocarsi questi prodotti nello scenario clinico?

Questo è sicuramente un aspetto di grande rilevanza. A titolo di esempio, sono disponibili (anche in Italia) prodotti che hanno dimostrato significativi miglioramenti di esito clinico favorendo una miglior consapevolezza del paziente rispetto alle proprie condizioni cliniche, e se necessario un ricorso più tempestivo al medico. A stretto rigore, queste tecnologie non rientrerebbero nella attuale definizione di terapia digitale, ma è probabilmente lecito porre la riflessione se, oltre al meccanismo d’azione, non sia il caso di pensare a un orientamento maggiormente “basato-sugli-esiti” e che si fondi su correttezza e rigore delle prove di efficacia e sicurezza. Pur consapevoli delle conseguenti implicazioni in termini di sostenibilità finanziaria, in prospettiva, si potrebbe valutare anche per prodotti con queste caratteristiche l’opportunità di applicare sistemi di rimborso (dedicati o nelle tariffe di DRG), a condizione che siano dimostrate efficacia e sicurezza qualitativamente e quantitativamente sovrapponibili a quelle richieste per le DTx, e vi siano positive ricadute sul rapporto fra costi per il Servizio Sanitario Nazionale e benefici per i pazienti. Più in generale, credo sia auspicabile che una proposta di questo tipo possa essere oggetto di una approfondita analisi da parte degli stakeholder, in maniera simile a quanto avvenuto negli anni recenti in tema di terapie digitali.