L’Europa, consapevole che manca davvero poco al 2030, accelera il passo verso i primi obbiettivi previsti dal Green Deal sollecitando gli Stati membri con due proposte di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio: la n.305 del 28/06/2022, relativa all’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e recante modifica del Regolamento (UE) 2021/2115 e la n. 304 del 30/06/2022 sul ripristino della natura.
Con il primo, la Commissione Europea vuole sostituire circa la metà dei pesticidi in commercio con metodi alternativi di prevenzione e controllo degli organismi nocivi, basati sui principi dell’agroecologia. Con il secondo, mira al ripristino degli ecosistemi danneggiati, salvaguardando in tutta Europa gli ambiento marini, forestali, agricoli ed urbani.
Si tratta di due provvedimenti che, concettualmente, vanno letti e considerati come un unicum, sebbene si occupino di due temi specifici, in quanto la gestione della produzione agricola non è altro che la gestione di un sistema agroecologico estremamente complesso. Ogni fase della coltivazione va, infatti, concepita in relazione con le altre che la precedono e la seguono, e questo sia che si scelga di seguire un protocollo biologico, integrato o convenzionale. Per capire meglio alcuni aspetti tecnico scientifici e, soprattutto, lo stato dell’arte della ricerca applicata in Italia, ho rivolto alcune domande ad Alessandra Trinchera, Primo Ricercatore del Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA, che è il più importante Ente italiano di ricerca sull’agroalimentare.
Dottoressa Trinchera I temi sul tavolo sono due: la tutela della biodiversità e la riduzione delle residualità di pesticidi e sostanze indesiderate nei prodotti agricoli destinati all’alimentazione umana. Partiamo dalla prima, secondo la Commissione Europea i pesticidi e gli erbicidi non solo danneggiano la salute umana e causano il declino della biodiversità nelle aree agricole, ma anche contaminano pericolosamente l’aria, l’acqua e l’ambiente in generale. L’Italia è pronta ad affrontare questa sfida tecnologica e scientifica?
AT: Certamente si tratta un tema estremamente complesso, che andrebbe affrontato con una molteplicità di misure interconnesse tra loro e che dovrebbero scaturire dalla cooperazione costante tra i diversi Ministeri competenti, da quello delle Politiche agricole alimentari e forestali, a quelli dell’Ambiente, della Salute e della Transizione ecologica.
Il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN, Decreto Interministeriale 22 gennaio 2014), in realtà, rappresenta solo il primo passo verso il contenimento dell’uso dei prodotti fitosanitari per ridurne l’impatto sull’ambiente, ma si può fare di più.
L’applicazione di metodi di coltivazione basati sui principi dell’agroecologia, come l’agricoltura biologica, alla quale anche la normativa Europea si riferisce nella promozione della transizione ecologica, consente di garantire buone rese e ottimo livello qualitativo e di salubrità degli alimenti, riducendo il rischio di perdita di biodiversità e di degrado del suolo, fortemente compromesso dall’applicazione di pratiche agronomiche intensive a lungo termine.
Nel 2021, l’Italia si presenta in Europa con una superficie biologica rispetto alla superficie agricola utilizzata (SAU) totale pari al 17,4% e con ben 2.187 operatori nel settore bio (Il Bio in cifre, SINAB, 2021). Negli ultimi 5 anni, le aziende biologiche sono cresciute del 40% ed il consumo interno di prodotti biologici di circa il 70%. Considerando che l’obiettivo europeo è il raggiungimento del 25% di SAU bio entro il 2030, direi che siamo sulla strada giusta, posizionandoci in Europa al 2° posto, solo dopo l’Austria.
A che punto è il progresso della ricerca nell’uso dei mezzi tecnici in agricoltura e nella analisi e valutazione dei vari protocolli applicati in campo dal biologico alla difesa integrata e al convenzionale?
AT: Le tecnologie digitali, accoppiate alla robotica ed alla sensoristica in campo, la cosiddetta agricoltura di precisione, permettono oggi di calibrare in maniera oculata la dose e il momento di applicazione dei mezzi tecnici, sia per la fertilizzazione, che per la difesa delle colture, con un risparmio dell’agricoltore ed una migliorata prestazione ambientale, riducendo il rischio di contaminazioni in falda.
In più, sono oggi in commercio nuovi formulati applicabili non solo in bio, ma anche in agricoltura integrata, come: i corroboranti, i biostimolanti delle piante, i prodotti a base silicatica, che operano con diverse modalità di azione, a volte sinergiche. Fornendo un’adeguata formazione agli agricoltori sulle diverse potenzialità e sul loro utilizzo, si potrebbero ottenere davvero grandi risultati.
IL CREA in questo si sta spendendo molto: non a caso, molti dei progetti nazionali ed europei passano per un approccio “partecipato”, ove gli obiettivi sono concordati e le modalità di conduzione sono identificate di concerto tra ricercatori e produttori, associazioni, aziende, consumatori. I cosiddetti “portatori di interesse”.
Si parla molto in Italia di percentuali e/o assenza di residui nei prodotti alimentari biologici, mentre il resto dell’Europa sembra più tollerante. Siamo di fronte ad un preconcetto, ad un esempio di disinformazione o ad un problema reale?
AT: Questo è un tema molto delicato. Partiamo dal concetto che “residuo zero” è un falso scientifico. Ogni chimico sa che lo “zero” analitico può avere differenti valori, dipendendo dal metodo analitico applicato per determinare il residuo stesso. Con il D.M. n. 309 del 13/01/2011, il Ministero delle Politiche agricole ha fatto una scelta a tutela del consumatore, imponendo su tutti i prodotti biologici un limite massimo di tutti i residui di pesticidi pari a 0,01 mg/kg (ossia 10 parti per bilione), inferiore rispetto alla soglia imposta in altri Paesi Europei ai prodotti biologici: Questo obbliga il produttore biologico ad una maggiore attenzione alla gestione delle contaminazioni, anche da quelle accidentali.
In merito all’ annosa questione della contaminazione accidentale da acido fosfonico nei prodotti bio, a volte legata a mezzi tecnici ammessi in biologico ma contaminati, tenuto conto che il fosfito è un composto a basso rischio per la salute e per l’ambiente, il Mipaaf ha rivisto il decreto n. 309 (DM n.7264 del 10 luglio 2020) incrementandone il limite fino a 0,05 mg/kg, con una ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2022 fino a 0,5 mg/kg nelle orticole e 1,0 mg/kg nelle colture arboree e nei prodotti vitivinicoli, (progetto BIOFOSF).
Va detto che l’analisi di alcuni vini biologici francesi, spagnoli o tedeschi realizzata entro il progetto BIOFOSF-WINE del CREA ha evidenziato residualità tutt’altro che trascurabili, fino a 100 volte superiori rispetto a quelle dei vini biologici italiani sotto indagine e notevolmente superiori ai limiti imposti nei rispettivi paesi d’origine.
Il CREA, sotto il suo coordinamento scientifico, ha condotto alcuni progetti di ricerca e sperimentazione sui concimi organici e non per comprenderne pro e contro sia in termini di arricchimento del suolo e delle piante, sia in termini di potenziale residualità rispetto ad alcuni elementi chimici di sintesi stranamente presenti nell’ammendante. Quali le principali evidenze?
AT: In agricoltura biologica, ma anche in agricoltura integrata, l’utilizzo di concimi organici è divenuto ormai una pratica assodata, che permette di fornire nutrienti alle colture modulandone l’assimilazione da parte della pianta nel momento in cui l’esigenza nutrizionale è massima, riducendo il rischio di surplus nel suolo e la potenziale contaminazione delle falde. Tra gli ammendanti, i compost costituiscono un’ opportunità di trasformare lo scarto in risorsa, essendo in grado di migliorare le proprietà chimico fisiche e biologiche del suolo, garantendo la produttività e la biodiversità dell’agroecosistema a lungo termine.
È evidente che il mezzo tecnico, sia inorganico che organico, può comportare la presenza di talune contaminazioni. Tuttavia, mentre la legislazione italiana impone limiti vincolanti solo per i metalli pesanti (D.M. n. 75/2010), la recente normativa europea (Reg. UE n. 1009/2019) impone anche limiti per alcuni composti organici.
Diverso è il problema della contaminazione da pesticidi rilevata a volte nei prodotti per la difesa a base di rame o zolfo da utilizzare in biologico (progetto METinBIO). Si è verificato, infatti, che il produttore biologico, pur avendo utilizzato unicamente mezzi tecnici ammessi in bio,, abbia riscontrato la presenza di alcune contaminazioni accidentali nel mezzo tecnico dovute al processo produttivo (scarso o assente lavaggio degli impianti produttivi, come nel caso dei fosfiti).
Visti i limiti di contaminazione dei prodotti bio estremamente bassi in Italia, è facile definire “contaminato” una mela biologica che contiene 50 parti per bilione di acido fosfonico! Insomma, a volte alcune informazioni vengono travisate e presentate in maniera impropria, creando paura e confusione nel consumatore. I prodotti biologici sono sicuri perché seguono un disciplinare estremamente rigido e perché sono costantemente controllati dagli enti di certificazione del bio, a loro volti controllati da Accredia. È chiaro che la frode talvolta può esserci, esiste ed esisterà sempre, ma il nostro bio, soprattutto quando tutto italiano, è sicuro e fa bene all’ambiente.
Diserbo meccanico, diserbo chimico, sovescio, e sfalcio. Ci riassume pro e contro di queste pratiche?
AT: Le infestanti in campo sono considerate da molti agricoltori un nemico da eliminare. Il diserbo chimico è stato per anni praticato massivamente, provocando una riduzione drastica della biodiversità nei sistemi agrari, generando resistenze ed obbligando a sintetizzare sempre nuovi e più potenti principi attivi per attuare il diserbo, creando così un circolo vizioso. Il diserbo meccanico è una delle possibili tecniche di gestione dell’agrosistema.
Esso riduce l’impatto dal punto di vista ambientale, se pure, a volte, risulti oneroso per la necessità di disporre di macchine agricole ottimizzate rispetto al sistema produttivo. Oggi sono disponibili in commercio piccoli robot, in grado di effettuare diserbo meccanico senza danneggiare minimamente la coltura presente in campo. Il sovescio, la sfalcio, ma anche l’allettamento con rullo sagomato, sono altre pratiche agricole conservative molto utilizzate, specie in agricoltura biologica, in grado di riportare nel suolo il carbonio assimilato come anidride carbonica dalle componenti vegetali attraverso la fotosintesi.
Cosa c’è di meglio per aumentare il sequestro del carbonio in un momento nel quale i nostri suoli manifestano fenomeni erosivi e di perdita di struttura per il loro ridotto contenuto di sostanza organica?
Erbe infestanti e microrganismi. Le prime sono sempre nocive?
AT: Oggi, la rinnovata spinta verso l’agroecologia, che identifica l’agrosistema come un’entità complessa, dove piante, fauna e microrganismi concorrono alla sua funzionalità, ha spinto i ricercatori a studiare il ruolo giocato da alcune erbe spontanee nel supportare le simbiosi positive tra pianta e funghi (micorrizazione).
Una incrementata diversità di esse induce una maggiore diversità microbica e ad un’ottimizzazione dei cicli del carbonio e dei nutrienti nel suolo (progetti RIZOSEM e AGROECOseqC). L’uso di colture di copertura o le consociazioni, assai praticate in agricoltura biologica, può ulteriormente promuovere la selezione delle erbe spontanee a favore di quella più performanti dal punto di vista ecologico.
Funghi e batteri. l’Europa ne sollecita l’uso in sostituzione dei fitosanitari di sintesi. Possono essere utili oltre che per la protezione della pianta, anche per migliorarne la vitalità? In Italia li utilizziamo molto, poco, per nulla?
AT: I biostimolanti microbici sono una categoria di fertilizzanti che è stata inserita nella regolamentazione europea solo nel 2019 (Reg. UE n. 1009/2019), molto tempo dopo l’inserimento nella nostra legislazione nazionale (D.M. 75/2010). Le aziende italiane produttrici di biostimolanti sono state di fatto le “pioniere” nel settore e si sono spese fortemente per la loro approvazione in tutta Europa.
Essi sono costituiti da consorzi di funghi benefici (prevalentemente micorrize), ma anche da rizobi (batteri azotofissatori) e microrganismi detti “promotori di crescita” delle piante. Sono, ovviamente, tutti organismi privi di rischio per l’ambiente, vegetali, animali e uomo e non contengono virus. Da molti anni il CREA lavora nel settore per identificare nuovi consorzi microbici in grado di stimolare le piante a produrre riducendo l’apporto di nutrienti, nonché a difendersi più efficacemente dagli organismi nocivi (progetto Excalibur ).
I biostimolanti microbici sono molto utilizzati in Italia, Spagna e Francia, soprattutto in agricoltura biologica, in quanto permettono di ridurre l’uso di prodotti a base chimica per la difesa, aumentando l’efficienza d’uso dell’azoto e del fosforo, soprattutto nella produzione di orticole biologiche. Tuttavia, non vanno considerati una panacea di tutti i mali.
A volte, l’identificazione del consorzio migliore richiede tempo, esperienza e diversi tentativi. Vanno infatti selezionati con cura ed apportati al momento giusto, tenendo conto che la dotazione microbica del suolo e la stessa coltura possono influenzare in modo determinante la loro efficacia.