Importata in Italia dai Greci, diffusa in Europa dai Romani e coltivata con perizia dai monaci in epoca medioevale, la Castagna detiene da secoli, anzi millenni, molti primati. Oltre ad essere un prodotto alimentare di ottime proprietà organolettiche, tant’è che l’Italia è fra i principali esportatori mondiali, il suo legno può essere utilizzato per realizzare paleria o prodotti artigianali, grazie alla sua “robusta” presenza previene il dissesto idrogeologico e rappresenta un essenziale valore socioculturale per le aree montane del bel paese.
Consapevole della multifunzionalità della coltivazione del castagno, ma anche della loro importanza rispetto a valori costituzionali quali la tutela ambientale, la difesa del territorio e del suolo e la conservazione dei paesaggi tradizionali, il legislatore italiano ha predisposto una proposta di legge che dovrebbe garantire quasi 21 milioni di euro entro il 2023 per risolvere le criticità della filiera e mettere le basi per una ripresa di questo comparto agricolo. Oltre alla lotta alle malattie ed a una riorganizzazione del commercio e della produzione, risultano estremamente interessanti l’istituzione di un marchio unico nazionale di qualità che le regioni possono adottare ed il coinvolgimento dell’istruzione secondaria per creare cultura e passione nelle nuove generazioni verso un’attività imprenditoriale che, se ben gestita, può dare reddito e soddisfazione. La proposta, in discussione alle Camere, dovrebbe diventare definitiva nell’anno in corso.
Il momento d’oro della coltivazione della Castagna inizia nel Medioevo essendo praticamente l’unica risorsa delle aree montane, per la sua capacità di fornire cibo, materiale da costruzione e calore. I monaci, artefici della sua diffusione e coltivazione, portarono praticamente ovunque le varietà da frutto per il consumo umano e altre destinate all’alimentazione del bestiame. L’apice della coltivazione dei castagneti coincide con la metà del 1800. Fino a tutto il secolo successivo, il valore di un’azienda agricola italiana di montagna veniva stimato in base all’ampiezza, efficienza e produttività del castagneto da frutto (il commercio delle castagne rappresentava il 18% circa della produzione vendibile dei boschi italiani, il legname costituiva circa il 20% di quello complessivamente utilizzato e l’industria del tannino era un plus economico per le aree montane).
Con la Seconda guerra mondiale inizia il declino della castanicoltura a causa di molteplici fattori, economici, sociali e fitosanitari: l’industrializzazione che ha spostato la popolazione verso le città, il cambiamento di stile di vita e di alimentazione, i nuovi processi di produzione circa l’uso del castagno o di prodotti derivati e l’incidenza delle fitopatologie, quali mal dell’inchiostro e cancro corticale.
Attualmente la superficie italiana a castagno è pari a 788.408 ha, circa il 9% della superficie classificata come bosco (dati rete rurale nazionale).
Oltre i 2/3 dei boschi di castagno, pari a 605.868 ha, sono cedui o fustaie da legno ed il 19% (147.568 ha) sono coacervi di piante considerati castagneto da frutto o selva castanile. La maggior parte dei castagneti da frutto italiani è concentrata in Campania, Toscana e Piemonte, che rappresentano il 61% dei castagneti; questa percentuale tocca il 92% aggiungendo anche Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Lazio e Calabria. L’Italia mantiene ancora la sua posizione di primato fra i principali produttori ed esportatori mondiali di castagne, malgrado sconti grossi problemi fitosanitari e una spietata concorrenza da parte di Spagna, Portogallo, Turchia e Cina. Per fortuna, la qualità del made in Italy emerge anche in questo caso soprattutto rispetto alla produzione cinese (Castanea mollissima), spuntando, così, prezzi superiori e domanda in costante tensione.
Fino al 2010 il saldo export import era estremamente favorevole (22 mila tonnellate esportate e 7 mila importate). Successivamente si è ridotto gradualmente fino al 2016, per poi ritornare a salire grazie ad una ripresa della produzione nazionale grazie alla lotta al parassita cinipide. Attualmente, in Italia, sono censite dal Mipaaf 348 cultivar di castagne e 90 di marroni.
Le regioni con più cultivar sono: Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia. Circa il 20% di esse (51 castagne e 34 marroni) hanno caratteristiche genetiche, commerciali e culturali importanti; il 30% (96 castagne e 17 marroni) sono varietà rare per diffusione e molto localizzate, mentre oltre il 50% (201 castagne e 39 marroni) sono cultivar oggetto di studio e ricerca per migliorarne la resistenza a malattie e parassiti e valorizzarle. Le castagne ed i marroni Dop e Igp italiani sono 12.