Fra i temi centrali dell’evoluzione digitale dell’assistenza sanitaria nazionale c’è la cura a distanza del paziente, utilizzando quanto di meglio la tecnologia può offrire. Dalle piattaforme di connessione telematica, alle terapie digitali (DTx), che sono Medical Device nei quali il principio attivo è rappresentato da un software / app disponibile su smartphone, tablet o PC e che interagisce con il paziente guidandolo verso comportamenti più salutari.
Tutto questo presuppone alcune importanti condizioni: una conoscenza dell’uso di tali strumenti da parte del medico e del paziente; una loro efficacia ai fini terapeutici documentata attraverso studi clinici affidabili e, infine, una sostenibilità economica che consenta l’accesso a tutti i cittadini.
Risulta evidente l’opportunità offerta da questa nuova frontiera di cura alternativa o combinata con quella farmacologica sia in termini di miglioramento di esiti di salute che di potenziale beneficio per il Servizio Sanitario Nazionale, che per offrire nuovo slancio alla ricerca e sviluppo medico e industriale.
Quello che continua a mancare è però una chiarezza rispetto al futuro della Medicina digitale in Italia, e in particolare delle DTx, mentre in altri Paesi si sta già perfezionando il processo di rimborsabilità sanitaria. Le Istituzioni nazionali sono chiamate a definire molti aspetti che la normativa Europea lascia all’organizzazione interna dei Paesi membri: dalla disciplina regolatoria alla validazione tecnica e sviluppo clinico, dalla Privacy e cybersecurity alle modalità di accesso e rimborsabilità, fino alla promozione di condizioni organizzative abilitanti per le terapie digitali.
Per approfondire lo stato dell’arte, ho rivolto alcune domande al professor Gualberto Gussoni, Coordinatore Scientifico del Centro Studi FADOI (Società Scientifica di Medicina Interna).
D: Professor Gussoni, ad un anno dall’entrata in vigore del Regolamento UE n. 2017/745, l’Italia deve ancora definire l’assetto regolatorio per le terapie digitali applicabile nel nostro Paese. Soprattutto, non è chiaro il ruolo delle Autorità Nazionali (Ministero, ISS, AIFA) rispetto al percorso che verrà individuato. Qual è il nodo critico per accreditare queste terapie in tempi accettabili?
R: Poiché le terapie digitali sono dispositivi medici, Il Ministero della Salute è il soggetto istituzionale deputato a gestire tutto il processo.
Potrà avvalersi di competenze ed esperienze di altri Enti come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ovvero operare in totale autonomia. Allo stato attuale non è stato ancora ufficializzato come il Ministero intende procedere.
Circa un anno fa, con un gruppo multidisciplinare di esperti abbiamo analizzato il futuro delle terapie digitali in Italia e abbiamo proposto che venga costituita ex lege una apposita Commissione presso la Direzione Generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del Ministero della Salute, per la valutazione e negoziazione ai fini del rimborso e inserimento nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) delle DTx. Questo ottimizzerebbe i tempi.
D: Molti Paesi Europei ed Extra Ue stanno correndo sullo sviluppo e implementazione delle terapie digitali nel loro Sistema Sanitario, soprattutto per la cura di molte malattie croniche ad alto impatto sanitario ed economico. L’Italia potrebbe mutuare processi o parte di processi che hanno già dimostrato validità ed efficacia in altri Stati?
R: Pur nelle peculiarità che ciascun sistema sanitario nazionale esprime, per l’Italia due potrebbero essere gli esempi da attenzionare: quello Tedesco, per il processo di autorizzazione, convalida e place in therapy della tecnologia, e quello inglese, per la valutazione di Health Technology Assessment (HTA) e quindi i presupposti economico-sanitari per il rimborso.
L’esperienza tedesca consiste in uno specifico regime normativo per le applicazioni di salute digitale, chiamato DiGA, che è entrato in vigore il 21 Aprile 2020 e che prevede un percorso di autorizzazione rapida (fast-track), un periodo di “osservazione” di un anno con raccolta aggiuntiva di dati, e la possibilità di rimborso per la grande maggioranza dei cittadini.
Attualmente, oltre una trentina di DTx sono già entrate nel programma tedesco, e fino ad ora solo il 10% non ha superato la fase di approvazione e osservazione. Tra l’altro, i dati forniti durante il periodo di osservazione del programma DiGA offrono la possibilità di raccogliere utili informazioni real-life sul profilo di efficacia, sicurezza e usabilità di queste tecnologie.
L’esperienza inglese risulta, invece, particolarmente interessante per quanto bene e in dettaglio è descritta l’impostazione di un percorso di valutazione HTA se e quando questo risultasse decisivo in una logica di rimborso da parte del sistema sanitario nazionale.
Gli obbiettivi combinati di questi due modelli diventano quindi una place in therapy accelerata ma controllata di queste cure, venendo incontro sia alle esigenze del regolatore che degli sviluppatori, e un accesso il più possibile “democratico” per i pazienti.
D: Accesso e rimborsabilità delle DTx n Italia possono rappresentare una spinta importante verso una crescita della ricerca clinica no profit?
R: La ricerca clinica no profit si nutre di quanto è innovativo e può aprire prospettive alla medicina.
Sicuramente, se la dimensione delle DTx cresce, sotto il profilo scientifico e dal punto di vista industriale, anche la ricerca no profit ne può beneficiare in termini di opportunità.
Senza dimenticare che la ricerca no profit potrebbe contribuire a limitare il rischio di “eccezionalismo” che i prodotti di medicina digitale tendono in alcuni casi ad avere, seguendo percorsi di validazione menò rigorosi di quanto non accade per esempio per i farmaci.
D: Per l’industria farmaceutica italiana e la sua filiera investire ora sulle terapie digitali in Italia è possibile o prematuro?
R: Vedo numerose aziende italiane Pharma partecipare ad iniziative di formazione / informazione e presentare una propria organizzazione per assicurare competenze e risorse adeguate nella direzione della medicina digitale e delle DTx.
L’attenzione internazionale verso questi prodotti sta verosimilmente stimolando anche in Italia una filiera, fra start up digitali che sviluppano i software-prototipi, e le aziende farmaceutiche che intervengono nelle fasi più avanzate ed economicamente impegnative dello sviluppo, e offrono una organizzazione adatta al posizionamento dei prodotti sul mercato.
D: Formazione del paziente e del medico. È un problema per la diffusione delle DTx?
R: Fare cultura su queste terapie è sicuramente necessario e sarà appannaggio delle istituzioni, politiche e accademiche, e delle aziende che intendono investire su questi prodotti.
Forse più che sull’utilizzo quotidiano di questi dispositivi, che spesso hanno funzionalità intuitive, serve far crescere consapevolezza sulla loro esistenza e disponibilità, sulle potenzialità che possono esprimere così come sui possibili limiti.
Probabilmente è in questo, e in mix fra mancata conoscenza e diffidenza, la spiegazione di un utilizzo inferiore alle aspettative anche nei Paesi ove queste terapie sono ufficialmente disponibili.
Siamo però per certi versi all’inizio di questa storia, e il successo o meno di queste terapie potrà verosimilmente essere misurato solo fra alcuni anni.