Fabio Ferrari, matematico di origini Romagnole, è il CEO ed il Front man di Ammagamma, azienda acquisita dal gruppo Accenture, che, prima in Italia, ha iniziato 10 anni fa a studiare e poi progettare AI. L’ho conosciuto durante un Simposio sull’innovazione digitale applicata al settore Life science, mentre era impegnato a spiegare ad una platea di ingegneri, informatici e Data manager, che l’intelligenza artificiale per essere compresa, non va studiata come un processo, ma deve essere utilizzata ed educata. Solare e aperto come i suoi conterranei, mi ha raccontato tante cose del suo lavoro che è anche grande passione e scommessa sulla risposta del mercato.
La matematica e la fisica in questo caso non hanno avuto voce in capitolo. Il nome dell’azienda è nato dalla passione comune dei soci fondatori, fra cui io, per la musica dei Pink Floyd. Abbiamo scelto di italianizzare in “Ammagamma” “Ummagumma”, il loro quarto album, pubblicato nel 1969, che rappresenta una delle pubblicazioni più sperimentali della discografia del gruppo, nonché uno dei primi a presentare influenze tratte dal rock progressivo. Insomma, ci sembrava giusto come società di Data Scientists darci un nome che sposasse la nostra sperimentazione tecnologica di sviluppo dell’AI con la comune passione per l’innovazione musicale. Ammagamma ha anche un bel suono, accogliente e invogliante grazie alla presenza di numerose M, come mamma.
Si tratta di una tecnologia che, proprio perché è giovane, manca di storia, di bibliografia, l’esperienza va costruita. Lavoriamo sempre su analisi e ricerca con ogni cliente che rappresenta un’opportunità per noi di approfondire temi e angolazioni nuove. Quindi se vogliamo applicare l’intelligenza artificiale dobbiamo comunque fare ricerche dello Stato dell’arte, di cosa è uscito ultimamente, di cosa c’è sul mercato, dobbiamo fare costantemente analisi per capire se ci sono delle nuove pubblicazioni. Di consolidato non c’è nulla e quindi la ricerca e sviluppo praticamente si fondono con il lavoro quotidiano. Non riusciamo a distinguere quanto investiamo sull’uno o sull’altro, c’è un tutt’uno. Ogni progetto in fondo è un po’ come se fosse un progetto di ricerca e sviluppo.
Certo che l’intelligenza artificiale non esiste senza l’uomo, ma aggiungerei che non migliora senza l’uomo. Quello che non so dire è se e per quanto il binomio sia inscindibile. Mi spiego meglio. Attualmente il grande lavoro da fare è istruirla con le maggiori informazioni possibili su tutti i campi possibili. Gli Algoritmi sono sempre più potenti ed è difficile prevedere se fra 5, 10 o 20 anni potrà essere autonoma su qualche o più ambiti. Ora come ora non saprei rispondere.
Quello che può fare l’intelligenza artificiale oggi siamo Noi. Siamo ancora in una fase molto sperimentale, in una fase principalmente di ricerca, perché vengono rilasciati tutti i giorni algoritmi sempre più potenti e sempre più performanti, con più capacità di essere introdotti nei nostri contesti lavorativi e sociali. Si fa molta fatica a capire oggi che tipi di impatti possono avere e, soprattutto, che tipi di impatti potranno avere le loro conseguenze in tutti gli ambiti, dalla medicina ai lavori quotidiani che noi facciamo perché si dice sempre che l’intelligenza artificiale sostituirà i lavori ripetitivi e lasceranno a noi la creatività. Ma io mi chiedo: quanti lavori sono poi così creativi? Quindi anche questo è un tema da indagare, da analizzare. Penso che la cosa migliore sia sicuramente iniziare a far sì che le persone provino ad utilizzare le nuove tecnologie assistite da AI, perché solo in questo tipo di relazione, intelligenza artificiale-uomo, si possono capire le sue potenzialità e i veri rischi, i veri problemi e le vere funzionalità e anche come eventualmente gestire tutto.
L’integrazione delle due ad oggi è sicuramente importante, però sembra che su certi ambiti stia assolutamente vincendo l’approccio stocastico e questo perché l’uomo farà sempre più fatica a comprendere quello che accade dentro a questi algoritmi, mentre l’AI vede tutto, appunto, vede il globale, i 360 °, come diciamo noi. L’AI non si sofferma soltanto sugli elementi salienti ma prende in considerazione tutte le cosiddette eccezioni che costituiscono la regola. Anzi le eccezioni che contrariano la regola, ma nello stesso tempo sono quelle che vanno considerate perché sono la soluzione in quel caso. L’uomo, invece, perde delle cose perché la sua mente è fatta così. L’uomo non riesce a vedere certe connessioni così sottili e difficili da leggere. Quindi l’uomo fa fatica a leggerle dentro una grande mole di dati. L’uomo è in grado di contestualizzare i dati, di capire da che contesto culturale e sociale derivino. Fa fatica, però, a estrarre informazioni da queste grandi mole di dati così correlati e fortemente collegati tra di loro.
I vantaggi derivano dal fatto che occorrono tanti linguaggi diversi rispetto a quello settoriale della matematica per arrivare a tutti quando si parla di AI. Questo è importante perché vuol dire poter spiegare in modo semplice a chiunque, anche ai non addetti ai lavori, che cos’è la matematica e quindi avere dei termini che aiutino le persone a togliere quello spavento, quella paura che spesso si ha verso la matematica che appare complessa ed elitaria. Quindi l’uso di questi linguaggi diversi va ad arricchire il nostro vocabolario. Inoltre, questo ci aiuta a capire quanto è artigianale anche un processo come quello della matematica. Nel comune sentire la matematica è sempre associata a dei robot, ma i computer in realtà derivando sempre dall’uomo, è un processo molto artigianale di ricerca e di scoperta e quindi, questo, dal mio punto di vista, è fondamentale.
Un altro aspetto è quello interno al team, nella gestione dei progetti, dove abbiamo dovuto lavorare sodo per creare competenze specifiche a chi aveva un background educativo filosofico, sociologico o altro, che non aveva mai incluso un corso sulla AI. Purtroppo il nostro sistema scolastico non prevede per chi sceglie un percorso di studio umanistico l’approfondimento di certe tecnologie che comunque apparterranno al quotidiano. E questo è un peccato, perché discipline come antropologia, filosofia, disegno, design sarebbero importantissime da innestare dentro l’intelligenza artificiale. Il problema è che, quando vengono da noi dei ragazzi neolaureati in queste discipline, non sanno assolutamente nulla, cioè non hanno nessuna capacità di comprendere che cos’è l’intelligenza artificiale. E se uno non comprende cos’è l’intelligenza artificiale non riesce a portare nessun contributo. Va formato.
Direi entrambe. Risorse economiche e materiali che consentono a 100 matematici di continuare a fare ricerca e sviluppo proponendoci ai loro clienti, ma anche di immagine, facendoci conoscere al mercato delle imprese e delle start up. C’è molto da fare ma l’entusiasmo non manca.